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There’s an app for that. Ossia lo slogan che ha incapsulato il vero elemento rivoluzionario dello smartphone, le applicazioni (app). Nel 2008 nasceva l’App Store di Apple, il mercato digitale per iPhone operato e controllato dalla stessa casa californiana, dove sono transitati oltre 70 miliardi di dollari nel solo 2020 secondo il Wall Street Journal. Ma assieme al settore stanno crescendo anche le proteste contro la posizione dominante che Apple, nonostante la concorrenza della rivale Google, detiene sul mercato tanto giovane quanto vasto delle app per smartphone.

L’attenzione dei regolatori è alle stelle. Ad aprile Margrethe Vestager, commissaria europea per la competizione, ha scritto che Apple sta infrangendo le norme della concorrenza europea. Si tratta di un verdetto preliminare, frutto di un’indagine iniziata nel 2019 dopo le proteste di Spotify. Intanto, dall’altra parte dell’Atlantico, un caso di altissimo profilo – il cui verdetto probabilmente cambierà le sorti dell’industria digitale – è alle battute finali. Forse.

Le origini

Tutto iniziò l’estate scorsa quando Epic Games, la compagnia che produce il popolarissimo videogioco Fortnite, decise di dare battaglia ad Apple aggirando la commissione del 30% che quest’ultima applica a ogni transazione che avviene attraverso il suo sistema di pagamento. Lo fece offrendo ai giocatori degli sconti sui prodotti digitali se questi avessero pagato Epic direttamente. Questo violava i termini di Apple, che rispose eliminando Fortnite dall’App Store (Google fece lo stesso di lì a poco). Fu allora che Epic procedette per vie legali.

Con le sue politiche, disse Epic, Apple garantiva che l’App Store fosse l’unico canale di distribuzione utilizzabile dagli sviluppatori per raggiungere la platea di utenti iOS, cosa che conferiva alla compagnia californiana “un potere di monopolio schiacciante nel mercato della distribuzione di app iOS”. Secondo Epic la commissione del 30% su ogni transazione che avveniva attraverso l’App Store era la dimostrazione dello strapotere della casa californiana.

Apple rispose sottolineando che quelle regole, tra cui la commissione e il diritto di approvare o rifiutare certi cambiamenti alle app, si applicano in tutto lo Store. Dichiarò che quel livello di controllo era vitale per la qualità dei propri prodotti perché consente di garantire il livello di sicurezza che gli utenti associano alla marca. Riguardo alle commissioni, disse che erano necessarie per sostenere i costi operativi dell’App Store.

Il processo

Queste le premesse per il processo aperto il 3 maggio e chiuso il 24 maggio, celebrato dalla giudice distrettuale Yvonne Gonzalez Rogers, che si è ritirata per deliberare. Con ogni probabilità il verdetto arriverà tra qualche settimana, anche se secondo alcuni non chiuderà la faccenda – il caso è talmente importante che potrebbe finire davanti alla Corte Suprema. Soprattutto, è complesso: gli ultimi giri di domande fatte dalla giudice ai rappresentanti di Epic e Apple lasciano presagire una risoluzione tutt’altro che manichea.

Gli avvocati di Apple avevano già accusato Epic di voler costringere la prima ad aprire il proprio ecosistema a terzi, compromettendo la sicurezza dei dispositivi iOS. Secondo la giudice, Epic vuole minare la maniera fondamentale in cui Apple genera introiti. “Una delle questioni che mi preoccupano è che i vostri clienti non sembrano interessati a pagare per l’accesso ai clienti che usano iOS”, ha detto Gonzalez Rodriguez ai legali di Epic. “Potete trovarmi un singolo caso antitrust in cui il tipo di rimedio che chiedete è stato concesso da un tribunale?”.

Ma la giudice non si è risparmiata nemmeno sul fronte opposto, specie quando il CEO di Apple Tim Cook è apparso come testimone venerdì scorso. Durante l’interrogazione Cook non ha saputo stimare il margine di guadagno che la Apple realizza grazie alle commissioni, cosa che ha permesso ai legali di Epic di evidenziare come la riluttanza di Apple ne testimoniasse la conoscenza dei propri comportamenti anticompetitivi. “Il 30% è stato lì sin dall’inizio”, ha detto la giudice riferendosi alla commissione; “se ci fosse davvero concorrenza, quel numero si sposterebbe. E non lo ha fatto”.

Il prosieguo

Secondo Epic aprire lo Store non sarebbe affatto rivoluzionario: anni fa la stessa Apple lo fece con il suo sistema operativo per computer, macOS. Infatti i Mac non sono così sicuri, ha controbattuto il capo della divisione software di Apple Craig Federighi. “Il Mac è un’auto che puoi portare fuori strada se vuoi, puoi guidare dove vuoi”, ha detto. Ma con l’iPhone, “siamo stati in grado di creare qualcosa in cui anche i bambini – diamine, i neonati – possono operare un  dispositivo e farlo in modo sicuro”.

La definizione di cosa sia il mercato delle applicazioni giocherà un ruolo importantissimo nella decisione finale. Se Epic è riuscita a convincere Gonzalez Rodriguez che i dispositivi Apple rappresentano un mercato a sé stante, quest’ultima subirebbe un colpo durissimo. Se al contrario la giudice ascoltasse la campana di Apple, secondo cui il mercato sono tutte le piattaforme videoludiche (e che le ha ricordato come solo il 7% del fatturato di Fortnite, disponibile su più piattaforme e utilizzato da 350 milioni di utenti, dipendesse da iOS), la tesi della compagnia con la mela – ossia che il consumatore è libero di cambiare sistema operativo – verrebbe validata.

Nessuna delle due parti si è detta disposta a un compromesso. Gonzalez Rodriguez si è dimostrata reticente all’idea di dover dire ad Apple come condurre il proprio business, ma ha mostrato scontento per le sue misure più estreme, come il divieto alle app nello Store di mostrare agli utenti scritte o link per invitarli a utilizzare metodi di pagamento alternativi. Con ogni probabilità la decisione finale non accontenterà pienamente né Apple, né Epic. Qualsiasi sia la decisione, comunque, sarà destinata a impattare pesantemente sull’azione dei regolatori – che stanno seguendo gli sviluppi con le antenne drizzate.

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