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Let’s think big“, dice alla Reuters Peter Beyer, coordinatore delle relazioni transatlantiche del governo tedesco, praticamente il consigliere di politica estera più importante della cancelliera Angela Merkel. Pensare in grande riguarda il rapporto in costruzione con la Washington di Joe Biden. Lavorare “con la Germania e con l’Europa” per superare le questioni commerciali aperte, per trovare un sistema di gestione (e controllo) congiunto delle emissioni, per riformare il Wto. Questi i tre temi del pensiero.

L’offerta di Berlino a Washington ha un’eco a Pechino, chiaramente parte in causa della proposta di lavoro congiunto, essendo – con la Russia – l’elemento attorno a cui si dipanano e dipaneranno quelle relazioni transatlantiche che Beyer coordina. Su CGTN – network all news in inglese sotto il controllo del Dipartimento pubblico del Partito comunista cinese – si sottolinea infatti come quell’idea di “think big contrasti con la tradizionale politica cinese di Berlino”. Un dito nella piaga.

La Cina, così come la Russia, sono i due dossier principali delle relazioni transatlantiche, ma le visioni di Stati Uniti e Unione Europa – e Germania – divergono, spiega Teresa Coratella, programme manager dell’ufficio di Roma dell’Ecfr. “La maggior parte degli europei sembra scettica sulla possibilità di una ripresa globale della potenza statunitense”, dice Coratella a Formiche.net, anticipando i risultati di un sondaggio condotto dall’Ecfr (risultati che saranno illustrati in un panel organizzato venerdì 19 febbraio dall’Ecfr Roma e moderato dal direttore di Formiche.net Giorgio Rutelli).

Quel sondaggio mette la Cina come terza preoccupazione per la sicurezza secondo i tedeschi, che vedono invece al primo posto gli Stati Uniti. È una fotografia di una relazione, Usa-Germania, che è sempre stata complessa e le stesse proposte di Beyer sembrano forme di protezione nei confronti di Washington.

Le questioni Cina e Russia diventano allora un test. Berlino ha lanciato una proposta, che però sembra un tentativo di ricostruire la fiducia su terreni di interesse. Partendo per esempio dal togliere i dazi punitivi di Donald Trump; passando per una gestione congiunta delle emissioni che sembra più che altro un modo per evitare di far dettare l’agenda a Washington (preoccupazione della confindustria tedesca, la Bdi); e infine sulla Cina la Germania non sembra smuoversi troppo dal Wandel durch Handel, forma di contenimento economico-commerciale per portare Pechino al cambiamento, su cui per altro c’è già stato il mezzo scivolone del CAI.

Beyer non accenna a temi strategici per gli Usa, come la sicurezza asiatica (non solo il 5G) e il confronto nell’Indo-Pacifico. Oppure non menziona il Nord Stream 2, il gasdotto che collegherà la Russia alla Germania tramite il Baltico: dice che ci saranno sempre differenze sul tema dell’importazione del gas tra Berlino e Washington, ma non parla di quanto queste differenze si stiano trasformando in scontro, con gli americani che hanno già emesso sanzioni collegate alla pipeline perché la ritengono un’eccessiva esposizione a Mosca.

Che, per altro, indebolisce l’Ucraina e il fronte orientale (tema Nato): tant’è che su questo l’amministrazione statunitense ha già ottenuto una semi-dichiarazione di intenti dal governo tedesco che ha promesso di prevedere meccanismi di chiusura del tubo se dovessero essere registrate minacce per Kiev e valuta l’avvio delle forniture in un momento in cui le relazioni con Mosca saranno migliori (migliori per un cambio di atteggiamento russo, si intende).

Attorno a questi fascicoli ruota la domanda generale: come gli Stati Uniti guardano all’Europa? La intendono come un partner geopolitico o solo come un interlocutore? La risposta potrebbe non tardare ad arrivare secondo Coratella, visto che in questo anno l’Europa si trova ad affrontare non solo le sfide del recupero post-Covid, ma anche del rinnovamento delle leadership. Merkel lascerà il suo posto dopo oltre 15 anni di cancelleria, Emmanuel Macron va verso un complicato rinnovo del mandato in presidenziali che non sono per niente decise.

Passaggi che segnano il motore europeo franco-tedesco, a cui si somma l’arrivo a Palazzo Chigi di Mario Draghi, elemento che potrebbe influire sulle relazioni intra-europee e dunque con gli Stati Uniti “portando Roma – continua Coratella – in una posizione di vantaggio grazie alle capacità del premier italiano a livello di gestione dei dossier internazionali, ma anche per la posizione geografica-geopolitica dell’Italia che interessa agli Stati Uniti, unita alla presidenza del G20 e al ruolo di co-organizzatore della Cop26 sul Clima”.

Con le elezioni di Biden è innegabile che le cose siano già cambiate rispetto ai minimi toccati dal rapporto Trump-Merkel, quando le relazioni transatlantiche erano state sostanzialmente indebolite e temi come la Nato erano diventati terreno di scontro. Con Biden si prevede un ritorno al multilateralismo, ma resta difficile rivedere il genere di relazioni tipico di fase precedenti, perché sostanzialmente il motto trampiano America First rimane come priorità per Biden in termini di politica interna (la pandemia, la crescita e l’economia, il lavoro, divisione sociale).

Mercoledì, la Commissione europea a motore tedesco ha presentato mercoledì una nuova agenda per rafforzare il contributo dell’Ue al multilateralismo: una proposta pensata in modo non indipendente dalle visioni della Casa Bianca. E lunedì alla riunione dei ministri degli Esteri dell’Unione europea è stato invitato io segretario di Stato, Anthony Blinken. Secondo l’esperta dell’Ecfr c’è comunque un elemento chiave di lettura: “Gli europei devono accettare in maniera oggettiva e formale il fatto che gli Stati Uniti hanno avviato un disimpegno nei confronti del nostro vicinato e dei dossier di crisi che contano per l’Ue. Finché l’Europa non accetterà questo credo che ci saranno difficoltà nelle relazioni”.

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