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C’è un grande buco nero nelle finanze cinesi, che potrebbe risucchiare un pezzo dell’economia del Dragone. Il debito rischia di andare fuori controllo ribaltando le prospettive per una crescita post-pandemica reattiva e veloce. Tutto, come raccontato a più riprese da Formiche.net, parte dalla gigantesca esposizione delle società verso il mercato, con il solo comparto delle costruzioni e delle infrastrutture indebitato per 600 miliardi di yuan verso i sottoscrittori di bond.

Poi ci sono i governi locali, soprattutto quelli del Settentrione, a un passo dall’insolvenza e per questo impossibilitati a rimborsare quei prestiti contratti per finanziare le grandi opere, Alta Velocità su tutti. Un colpo basso per un Paese che ha imperniato la propria ripresa proprio sullo sviluppo delle infrastrutture. C’è però un dato, di queste ore, che forse più di tutti dà la cifra della grande crisi del debito cinese, di cui finora forse non tutti si sono accorti.

E cioè che da qui a fine 2021 le società cinesi dovranno rimborsare 1.300 miliardi di dollari sotto forma di obbligazioni emesse per raccogliere la liquidità necessaria alla crisi. Il dato messo così può dire poco, ma se raffrontato con altri mercati, allora la musica cambia. Ecco che il monte-debito delle imprese cinesi è superiore del 30% dell’intero indebitamento verso il mercato delle aziende della prima economia mondiale, gli Stati Uniti. Di più. Se comparato al mercato europeo, lo stock cinese risulta superiore del 63%. Tra le altre cose dunque, a monte della straordinaria accelerazione della crescita della Cina (+18,3%) nel primo trimestre, c’è senza dubbio un’abbuffata di liquidità raccolta dal mercato ma che ora presenta il conto: un debito societario mostruoso.

Emblema di questa crisi è Huarong, il colosso di Stato che gestisce il debito pubblico e privato e che a fine marzo ha clamorosamente mancato l’appuntamento con la diffusione del bilancio, scatenando un’ondata di panico sui listini e una fuga precipitosa tra gli investitori, avviando un progressivo dissanguamento dell’azienda. Ora, secondo il quotidiano economico cinese Caixin, Pechino ha deciso di prendere in mano la situazione, cercando di allontanare lo spettro dell’insolvenza, nominando al vertice di Huarong l’ex capo del partito e direttore esecutivo di China Great Wall Asset Management, Liang Qiang.

Il lavoro che si troverà a svolgere Liang sarà particolarmente complesso, in un’entità finanziaria che da sei mesi non ha un suo numero uno e che a gennaio ha avuto l’ex presidente, Lai Xiaomin, giustiziato per corruzione. La situazione è drammatica: le contrattazioni delle azioni di Huarong sono sospese a Hong Kong dal primo aprile e il valore delle obbligazioni è calato ancora dopo che media internazionali hanno ventilato l’ipotesi che il governo cinese voglia ristrutturare il debito, un’operazione che potrebbe portare a perdite per i detentori cinesi e stranieri dei bond Huarong.

E questo nonostante Huarong abbia trasferito i fondi per ripagare bond per 300 milioni di dollari in scadenza in questi giorni. I mercati, tuttavia, restano preoccupati. E a buon vedere. Alla fine di aprile Huarong aveva 22 miliardi di dollari in bond offshore, 3,4 miliardi di dollari dei quali in scadenza entro la fine di quest’anno, secondo i dati di Bloomberg. D’altro canto, la portata degli asset che Huarong gestisce potrebbe renderla too-big-to-fail: parliamo di 260 miliardi di dollari.

L'agonia di Huarong e maxi-debito societario. L'altra faccia della crescita cinese

Dietro l’improvvisa accelerazione della crescita cinese c’è anche un’abbuffata di liquidità da parte delle aziende del Dragone, grazie all’emissione di bond. Ma nulla è gratis e ora le società cinesi devono al mercato il 30% in più di quelle americane

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