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L’attualità politica sembra, negli ultimi tempi, avere posto in secondo piano l’emergenza pandemica. Tuttavia, a ben vedere, i problemi posti dal Covid–19 sono sempre al centro dell’agenda politico-economica e, per quanto qui ci interessa, continuano a scuotere sempre più in profondità le strutture stesse su cui si basa il sistema della disciplina della crisi d’impresa.

Al momento, il Paese attraversa una nuova fase politica avviata dal varo del nuovo governo. Impossibile prevedere i prossimi sviluppi, ma si può provare a formulare alcune ipotesi. La pandemia ha creato una situazione per molti versi inedita nella storia della Repubblica. Molti diritti e molte libertà hanno subito un processo di sospensione, ovvero di compressione, ovvero anche di soppressione tout court in favore della tutela della salute, configurato quale bene primario e, secondo alcuni, quale vero e proprio “diritto tiranno”.

La logica dell’emergenza ha anzitutto prodotto il sistema delle moratorie. Sullo sfondo, tuttavia, abbiamo più volte osservato alcuni accenni di cambiamento di paradigma: la costituzione economica, per adottare una fortunata espressione del prof. Sabino Cassese, sembrava sempre più distaccarsi da norme e principi di diritto della concorrenza, anche di provenienza europea, per orientarsi verso nuove (o vecchie?) forme di intervento dello Stato nell’economia e di più o meno marcato dirigismo.

Il varo del governo Draghi sembra interrompere questo percorso.

Difatti, è ragionevole ritenere che, ad esempio, il nuovo governo pensi di utilizzare le risorse europee secondo una logica improntata al varo di importanti riforme istituzionali e di rilancio che siano coerenti con l’attuale impostazione della costituzione economica dell’Unione europea. In dettaglio, sarebbe auspicabile che, in luogo di politiche di natura assistenziale e volte alla erogazione di sussidi e somme a fondo perduto, si attuassero politiche di ammodernamento ed efficientamento delle infrastrutture

In relazione alla disciplina della crisi d’impresa alla luce della pandemia, ad esempio, ciò significherebbe orientarsi verso riforme improntate non già alla logica del salvataggio, bensì a quella di turn around, cioè di vera e propria ristrutturazione, al fine di consentire all’impresa di tornare a essere competitiva sul mercato.

Già solo a voler limitare l’ordine del discorso alle insolvenze delle grandi e grandissime imprese, i dossier di crisi aperti sui vari tavoli ministeriali sono molti e di spessore preoccupante: Alitalia, Ilva, Autostrade, Whirlpool. Ma a spaventare è soprattutto la crisi del tessuto più profondo e diffuso della piccola e media impresa; crisi che, all’approssimarsi dello sblocco dei licenziamenti, al termine delle misure di cassa integrazione e al termine della moratoria fiscale, è pronta a deflagrare con esiti imprevedibili.

Come più volte abbiamo avuto modo di rilevare, appare sempre più necessaria una riforma di tipo organico, che coordini, superi e riassorba in sé interventi che, oramai nel corso di un intero anno, sono risultati estemporanei, di settore e frammentari. Tale riforma sembra ancora alquanto lontana. Ancor più remota, nonostante l’urgenza divenuta ormai quasi vitale, appare l’ipotesi che in tempi brevi venga varata una riforma organica del sistema fiscale e tributario che tenga debitamente conto dell’eccezionalità dei tempi, sia avuto riguardo alle persone fisiche, sia avuto riguardo all’impresa.

Un primo tentativo di affrontare la questione in modo diretto e coordinato è stato già effettuato proprio dall’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 34 del 29 dicembre 2020 riguardante la “Gestione delle proposte di transazione fiscale nelle procedure di composizione della crisi di impresa” (la “Circolare”). La Circolare pare muoversi nella direzione di un apprezzabile sforzo dell’amministrazione nel recupero di elementi di elasticità che la pandemia rende necessari nella gestione della crisi di impresa.

Soprattutto, pare recuperarsi l’elemento privatistico che era posto alla base delle riforme delle procedure di composizione della crisi di impresa. Dovendo decidere se votare o meno una transazione fiscale, il Fisco è ora posto in grado di disporre del proprio credito senza le rigidità di matrice pubblicistica in passato registrate, dovendosi valutare unicamente la convenienza economica della transazione avuto riguardo non già alla massimizzazione del proprio valore, ma al confronto con l’ipotesi liquidatoria. Atteso che ci si aspetta che la crisi delle imprese sarà nei prossimi mesi di natura essenzialmente tributaria, questo orientamento pare debba essere favorevolmente salutato e confermato.

Ma la vera sfida è che il nuovo governo, ancorché in fine legislatura, utilizzi questo tempo prezioso per mettere a frutto le nuove risorse europee varando una riforma di natura non soltanto fiscale ma, come detto, civilistica che, finalmente, prenda atto del mutato panorama socio-economico e incorpori il concetto di crisi pandemica nella nozione di crisi e/o insolvenza dell’impresa, con tutte le conseguenze disciplinari del caso.

Basta sussidi, per la competitività è tempo di riforme. Il commento di Chimenti

Al momento, il Paese attraversa una nuova fase politica ed è ragionevole ritenere che il nuovo governo utilizzi le risorse europee secondo una logica coerente con l’impostazione della costituzione economica dell’Unione europea abbandonando le misure dei meri sussidi. Il commento di Stanislao Chimenti, docente di Diritto commerciale e partner dello studio internazionale Delfino Willkie Farr & Gallagher

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