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Se c’è una donna nella politica italiana (e sono poche, ma ci sono) che ha dovuto difendersi per anni dagli attacchi legati a tutto ciò che non riguarda il suo operato, questa è Mara Carfagna. L’avvenenza della ex soubrette ha sempre diviso le anime: da una parte, chi l’ha attaccata per essere arrivata al suo posto (qualunque esso sia stato) grazie ai favori riservatigli da Silvio Berlusconi, accecato dalla sua bellezza; dall’altra, c’è invece chi l’ha sempre difesa, sottolineandone la bravura e la caparbietà che l’ha sempre spinta a studiare a fondo ogni dossier prima di metterci le mani.

La divisione è emersa anche negli ultimi giorni, a seguito della sua nomina a ministra per il Sud nel neonato governo Draghi, compagine di governo attaccata da più parti per l’assenza di un congruo numero di ministre donne. Di fronte a una percentuale di donne più bassa delle aspettative (32% a fronte di un 50-50 ventilato nei giorni precedenti) si è però costruito un eterno paradosso: le donne nominate, al di là dell’esperienza governativa che portano con sé, non vanno bene.

Non vanno bene perché sono poco competenti, inesperte, inadatte? No, non vanno bene perché sono di centrodestra.

Evidentemente, la questione femminile rispolvera antichi dissapori, antiche accuse e antiche testimonianze. Non a caso, da giorni gira in rete un video (datato 2012) in cui l’allora conduttrice di Robinson, Luisella Costamagna, incalza Mara Carfagna, all’epoca ex ministra per le Pari opportunità.

Gli attacchi che Costamagna le rivolge sono oggi visti come colpi sotto la cintura. Al tempo, però, questa intervista fece meno scalpore di oggi: Luisella Costamagna fu anche difesa per la ruvidezza e la schiettezza con cui condusse il dialogo. Evidentemente il tema scaldava, divideva, e Luisella Costamagna dava voce ad un sentire comune in una parte di Paese che, volenti o nolenti, Mara Carfagna si è sempre ritrovate a dover gestire.

E forse il tema scaldava anche e soprattutto chi, con Carfagna al governo, si trovò in un modo o nell’altro più rappresentata.

Rivedere oggi quello spezzone fa uno strano effetto: l’onorevole azzurra para gli attacchi in modo esemplare, e riesce a mantenere un distacco e un controllo pur mostrandosi visibilmente irritata. Ed è proprio l’aplomb che Mara Carfagna riesce a mantenere a farla brillare – nell’anno domini 2021 – in una società ben più attenta alla questione femminile e al politically correct, alla questione delle pari opportunità e della libertà di autodeterminazione dell’individuo (e quindi anche delle donne).

In mezzo alle polemiche, al tempo, si perse di vista una grande verità: si può fare il ministro anche con un passato da soubrette. Si può fare il ministro anche con i capelli corti, o lunghi (e fu tema di discussione nell’intervista), e si può fare il ministro anche con la gonna sopra al ginocchio (idem). Si può fare il ministro purché si lavori, sodo, per ciò a cui si è nominati – Pari opportunità o Pubblica amministrazione, Ambiente o Gioventù. Perché Mara Carfagna è stata un simbolo, certo, ma anche un’ispirazione per tante donne che si sono ritrovate ad occuparsi della cosa pubblica senza avere ben chiaro quanto l’avvenenza possa essere un punto di debolezza, come se l’avvenenza sia simbolo di stupidità o frivolezza.

Senza dimenticare, in fondo, che il problema forse è anche tutto qui: alle donne, se belle, non viene perdonato di ricoprire un ruolo al di sopra delle proprie capacità. Per ogni ruolo ricoperto da uomo, invece, non solo non si pensa alla sua avvenenza: il dubbio che possa essere messo lì per altri motivi, spesso, non sorge neanche.

IL VIDEO

Carfagna, bella e di centrodestra. Cosa non si perdona alle donne in politica

Rivedere oggi lo spezzone di una intervista a Mara Carfagna fa uno strano effetto: l’onorevole azzurra para gli attacchi dell’intervistatrice in modo esemplare, e riesce a mantenere distacco e controllo pur mostrandosi visibilmente irritata. Ed è proprio l’aplomb che Carfagna riesce a mantenere a farla brillare – nell’anno domini 2021 – in una società ben più attenta alla questione femminile. L’analisi di Martina Carone, Quorum/YouTrend e docente di Analisi dei media all’Università di Padova

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