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Dopo mesi e mesi di sofferenze, finalmente, l’Italia ha un governo nuovo di zecca. Merito di chi l’ha fatto nascere. Soprattutto di chi, come Matteo Renzi, ha aperto una crisi che, in molti, consideravano un salto nel buio, destinato a portare il Paese sull’orlo del baratro.

Così invece non è stato, nonostante il parere di tante cassandre che, specie a sinistra, si sono sentite orfane del rapporto privilegiato con i grillini e vedove inconsolabili nei confronti di Giuseppe Conte, eletto al rango del “migliore”. Cinque Stelle che, solo qualche mese fa, non nascondevano di considerare il “Pdl meno L” come il peggior rappresentante di una casta da ghigliottinare.

Chi non ha la memoria corta, non può dimenticare come lo stesso Beppe Grillo avesse trattato Pierluigi Bersani. Oggi totalmente prono, nel santificare le virtù del passato governo. Il cui merito principale era stato quello di mettere al bando l’odiata destra. Evidente segno di immaturità di un Paese che avrebbe bisogno di una “große Koalition” permanente: non tanto per governare meglio, quanto per espellere le tossine del reciproco settarismo, e realizzare quello che fu anche un sogno di un Massimo D’Alema d’antan, quel “Paese normale”, vagheggiato in un libro scritto a sei mani con Claudio Velardi e Gianni Cuperlo.

Ma bando ai ricordi, che pure qualificano un periodo storico, per occuparci di futuro. Dopo molti anni l’Italia ha nuovamente un governo che racchiude in sé il massimo della rappresentatività politica ed, almeno nei posti chiave, quell’alto profilo, che pure si vagheggiava. L’esatto contrario di quei governicchi che, purtroppo, hanno punteggiato tante fasi della vita politica italiana. Nato sull’emergenza democratica, non ha davanti a sé un periodo di bonaccia, ma sfide impegnative. C’è da riscrivere il Recovery Plan, cercare di imprimere una svolta all’economia italiana, gestire la più grande vaccinazione di massa della storia, affrontare il nodo della disoccupazione di ritorno, dovuta all’esaurirsi del precedente periodo di cassa integrazione. Solo per citarne alcune delle pressanti necessità.

Questo nel breve periodo, che non può, tuttavia, far perdere di vista la prospettiva. In Europa si sta già discutendo di ripristinare le regole, al momento sospese, del Patto di stabilità e crescita. E c’è chi sogna di tornare a quel Fiscal compact che, in passato, ha strozzato le economie più deboli, fatto crescere il valore dell’euro nei confronti del dollaro e delle altre monete, accentuato i divari all’interno della stessa Ue, fino a minare alla base quel processo di convergenza, ch’era il sogno dei Padri fondatori.

Da quella discussione, che condizionerà il futuro prossimo venturo dell’Ue e della Repubblica, l’Italia non può tirarsi indietro. Deve quindi cominciare a riflettere, fin da ora, sulle possibili riforme da apportarvi, sfuggendo dalla falsa alternativa rappresentata dal totale assopimento, come fu con il Governo Monti, o dal mandare tutto al diavolo, seguendo le vecchie suggestioni di Claudio Borghi o Alberto Bagnai. Di cui si auspica un deciso ripensamento. Ci sarà tempo per esplorare le possibili vie che l’Italia potrà seguire. Dando il necessario supporto a Paolo Gentiloni, al momento solo nel guardare con preoccupazione alle sorti dell’Italia. Al momento basta un memo. Che ricordi a tutti l’importanza di quella scadenza.

Questa volta, infatti, non si può sbagliare. Non vi sono, infatti, forze politiche non coinvolte nell’esperimento di governo. Fratelli d’Italia stessa, sebbene, abbia assunto una posizione più defilata, non è pregiudizialmente ostile, ma pronta a misurarsi con l’agenda dell’esecutivo. Specie a proposito di un argomento, come i rapporti con l’Ue, che in passato ha rappresentato una spina nel fianco nella politica italiana. Al tempo stesso, nei posti chiave, vi sono le competenze necessarie a partire dal ministero dell’Economia. Daniele Franco è forse uno dei più profondi conoscitori delle regole europee in materia di bilancio e finanza pubblica. C’è solo da augurarsi – ma ne siamo più che certi – che non rimanga prigioniero del suo vissuto. Che sappia, vedere le complesse relazioni che regolano, in un rapporto osmotico, i diversi meccanismi che caratterizzano il sistema economico, come unica entità.

Detto questo, non resta che attendere. Ma già i primi passi, senza alcuna retorica circa l’importanza della “luna di miele”, saranno sufficienti per far comprendere la direzione di marcia. E, per quanto ci riguarda, da tifosi del nostro Paese, non possiamo che augurarci di vedere nei fatti il segno di quella discontinuità, che è la premessa necessaria per invertire la china e fermare un declino, che oggi appare meno ineluttabile.

Questa volta non si può sbagliare. Il monito di Polillo al nuovo governo

In Europa si sta già discutendo di ripristinare le regole, al momento sospese, del Patto di stabilità e crescita. E c’è chi sogna di tornare a quel Fiscal compact che, in passato, ha strozzato le economie più deboli. Da questa discussione, che condizionerà il futuro prossimo venturo dell’Ue e della Repubblica, l’Italia non può tirarsi indietro. Non vi sono, infatti, forze politiche non coinvolte nell’esperimento di governo. L’analisi di Gianfranco Polillo

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