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Sembrava impossibile, un vaneggiamento da fantapolitica, una chiacchiera da salotto, un’acrobazia da funamboli, una stravaganza da tattici fin troppo disinvolti. Invece sono arrivate, sono lì sotto i nostri occhi, materializzazione di una presunta (e invocata) impossibilità che improvvisamente si fa maggioranza prima e governo poi. Sono le larghe intese, l’esecutivo di emergenza che annovera entro i suoi confini partiti antitetici, identità contrapposte, leader che si combattono, correnti che si confrontano, tecnici che si mettono alla prova.

Le guida Mario Draghi, il Papa straniero chiamato da Sergio Mattarella ad un compito al limite delle possibilità di chiunque: rimettere in carreggiata un Paese anarchico e impaurito, diviso e rabbioso. Ritrovando il tesoro sepolto della coesione nazionale, impostando un metodo che è l’opposto della politica urlata e dei social devastatori.

Ecco, il punto è semplice. Ora che questa mission impossible ha preso corpo e il vascello dei tecnocrati ha rimesso alla fonda la nave dei folli, ora che le larghe intese sono realtà, qual è il compito da svolgere, il porto di arrivo, il deserto da attraversare sapendo di poter contare su salmerie adeguate ma da salvaguardare dai troppi appetiti e alla guida un Conducator che l’Europa ci invidia ma che dovrà guardarsi da trappole e tranelli perché dalle nostre parti il gioco di abbattere la leadership appena costruita è perennemente il più in voga?

Beh, la prima e fondamentale cosa da sottolineare è che si tratta di una occasione certo necessitata ma assolutamente da non perdere. Si è molto discettato sulla bacchetta magica in mano all’ex presidente della Bce e al “governo dei migliori” che senz’altro avrebbe allestito. Adesso qualcuno fa il muso lungo per scelte e incarichi, però nessuno può contestare che lo sforzo di Draghi ha assemblato il meglio delle intenzioni della politica e il plus delle competenze in campo.

Ogni scelta è migliorabile ma sarebbe un puro harakiri sminuire per ragioni strumentali il miracolo – come altro definirlo? – di essere riusciti a far sotterrare le asce di guerra a favore dell’impegno corale per mettere in sicurezza sanitaria, economica e sociale il Paese.

Il secondo elemento concerne l’operatività. Draghi è un fuoriclasse e si può riporre fiducia nelle sue capacità. L’importante è che lo spirito unitario che ha virtuosamente costretto la politica ad acconciarsi ad uno scenario mai percorso e per molto tempo combattuto, non vada disperso nelle beghe e negli interessi particolari, di fazione o di lobby.

Ma poi c’è il terzo elemento che forse è il più difficile ma il più importante di tutti. Riguarda la politica e chi la incarna. Il tempo di Draghi non è definibile a priori ma come tutte le cose non sarà infinito. È un tempo di sospensione operosa. Un tempo in cui le singole forze politiche, forse cambiando pelle laddove sarà inevitabile, dovranno attrezzarsi per ridarsi ciascuna una identità e lavorare per una offerta politica rinnovata da presentare ai cittadini una volta che il periodo dell’emergenza sarà finito e si andrà a votare.

Sotto questo profilo il governo Draghi svolge anche una funzione per così dire pedagogica. La funzione di chi deve far prevalere l’interesse nazionale consentendo a partiti e movimenti di ripensarsi sotto l’ombrello della responsabilità d’azione condivisa. È l’obiettivo più ambizioso ma più decisivo affinché la politica possa riprendere il ruolo che le spetta e che gli italiani da tempo hanno smarrito: quello di capotavola ad un banchetto dove ci sia posto per tutti e le disuguaglianze siano rese meno stridenti.

Le larghe intese, incredibile, sono realtà. E ora? Il mosaico di Fusi

Ora che questa mission impossible ha preso corpo, qual è il compito da svolgere, il porto di arrivo di un Conducator che l’Europa ci invidia ma che dovrà guardarsi da trappole e tranelli perché dalle nostre parti il gioco di abbattere la leadership è sempre il più in voga?

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