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L’inganno è un po’ sempre lo stesso. Dati macroeconomici mirabolanti che non fanno rima con finanze pubbliche a dir poco traballanti. L’economia cinese continua a viaggiare su due velocità. Da una parte ci sono Pil e produzione industriale in corsa e in fase di smaltimento dei postumi della pandemia. Dall’altra c’è una situazione del debito privato e sovrano tutt’altro che rassicurante e di cui la crisi di fiducia in cui è sprofondato il gigante di Stato Huarong è emblema. Uno schema ripetutosi anche oggi.

Ad aprile scorso la produzione industriale cinese è aumentata dello 0,5% sul mese di marzo e del 9,8% anno su anno. Un dato, quest’ultimo, superiore al 9,1% atteso dai mercati. Tuttavia si tratta di un rallentamento rispetto alla crescita del 14,1% registrata a marzo scorso, quando però gli effetti della pandemia non si erano ancora manifestati in tutta la loro devastazione. Poi c’è il rovescio della medaglia, e cioè l’aumento esponenziale dei declassamenti di obbligazioni emesse dalle società cinesi, il grosso delle quali statali. Debito industriale non più sostenibile come prima e non così lontano dal livello spazzatura.

I numeri non mentono. Succede che il declassamento interno delle obbligazioni societarie cinesi è più che triplicato quest’anno, al punto che ben 366 obbligazioni corrispondenti ad altrettante imprese sono state declassate nei primi quattro mesi del 2021. Un dato oltre tre volte superiore alle 109 obbligazioni declassate nello stesso periodo di un anno fa. Declassamenti tra i quali rientra la mazzata di Ficth sulla stessa Huarong, il cui rating è stato tagliato pochi giorni fa a BBB.

Tutto questo fa pensare a un serio aumento del rischio debito presso le aziende cinesi, che potrebbero riscontrare difficoltà nel rimborsare le obbligazioni emesse, riproponendo il copione di Huarong. Il che farebbe scattare il panico presso gli investitori, preoccupati di non rivedere più indietro i propri soldi. E poi, c’è la Borsa che di certo non apprezza un debito societario meno sostenibile e sicuro perché declassato. La questione comunque non è stata sottovalutata dalle autorità di vigilanza della Repubblica Popolare.

Lo dimostra il fatto che il governo centrale starebbe aumentando sensibilmente la pressione sulle imprese il cui debito è stato declassato, affinché migliorino la trasparenza verso il mercato, dal momento che spesso e volentieri all’origine dei tagli al rating c’è anche la mancata e tempestiva comunicazione dei propri conti. Una mancanza che quasi sempre è interpretata dalle agenzie come un’avvisaglia di insolvenza. Tra le centinaia di declassamenti di quest’anno ci sono le obbligazioni emesse da Hna, conglomerato di Stato in crisi di liquidità per quasi cinque anni. E quelle di Tsinghua, il gigante dei chip fortemente indebitato con il mercato.

Il tutto accade mentre Ant, braccio fintech di Alibaba, si prende una piccola rivincità verso il Dragone, reo di aver affossato il gruppo a colpi di multe, salvo poi chiedere (e ottenere) la sua collaborazione per la corsa allo yuan virtuale. Ebbene, secondo Reuters, Ant ad oggi è il più grande trader di fondi di investimento, spezzando un mercato dominato dalle banche tradizionali. E questo grazie a una massa di fondi intermediata pari a 890,1 miliardi di yuan.

Debito (poco) sostenibile. La scure del rating si abbatte sul Dragone

Nei primi mesi del 2021 il ritmo dei downgrade di obbligazioni emesse da società cinesi è più che triplicato rispetto a un anno fa. Pechino studia provvedimenti per evitare un’ondata di insolvenze e il panico sui mercati. E intanto incassa il sorpasso di Alibaba nel trading

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