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“Sarebbe un po’ come se Donald Trump venisse estromesso a favore di Ted Cruz, il tutto come parte di un accordo con Joe Biden”. Lo spietato paragone è firmato da Barak Ravid, corrispondente diplomatico di Walla News e firma di Axios, che in questi giorni si conferma una delle migliori fonti di notizie e analisi sulla politica israeliana, ancora alla ricerca di una via d’uscita dopo le elezioni del 23 marzo scorso (le quarte in due anni).

Dopo che il primo ministro uscente Benjamin Netanyahu (il più longevo nella storia del Paese, al potere dal 1996 al 1999 e poi ininterrottamente dal 2009 a oggi) ha rimesso il mandato esplorativo, il presidente Reuven Rivlin ha incaricato Yair Lapid, a capo di Yesh Atid, di formare un nuovo governo.

Il leader centrista può contare su 56 seggi su 120 e ha tempo fino al 2 giugno prossimo per trovarne almeno altri cinque decisivi per assicurarsi la maggioranza alla Knesset. I suoi negoziati sono ripartiti da dove si erano interrotti quelli di Netanyahu, fermatosi a 59 seggi: da Naftali Bennett, imprenditore tech diventato kingmaker del centrodestra, con cui il primo ministro uscente non ha trovato un accordo, anche a causa delle scorie tra i due che avevano coinvolto anche la first lady Sara Netanyahu.

Lapid e Bennett sperando di riuscire a raggiungere un’intesa già nei prossimi giorni. Il leader di Yesh Atid si è detto anche disposto a lasciare al numero uno di Yamina il primo turno di rotazione alla guida del governo per subentrare a metà mandato (cioè dopo due anni).

Ma nel partito di Bennett si conta già una defezione: quella di Amichai Chikli, che ha annunciato che non sosterrà un governo di coalizione con i socialdemocratici di Meretz e gli arabi della Lista unita sottolineando che gli elettori del Likud sono “fratelli”. E dal fronte pro Netanyahu è forte il pressing sulla numero due di Yamina, Ayelet Shaked. Nei giorni scorsi ha ribadito il suo sostegno agli sforzi di Bennett ma Channel 12 ha rivelato una telefonata in cui, pur definendo Netanyahu “un tiranno”, spiegava che un patto con lui sarebbe comunque meglio di un’“assurda coalizione” con la sinistra.

Se Lapid non riuscisse a formare un governo, allora l’ipotesi di un ritorno alle urne sarebbe sempre più concreta. E ciò permetterebbe a Netanyahu di rimanere primo ministro e di allontanare il processo per corruzione.

Ma la formazione di un governo israeliano è un processo che si va intrecciando con altri due. Il primo è esterno: il riassetto delle forze dopo gli Accordi di Abramo con l’arrivo di Joe Biden a Washington e in vista di un possibile ritorno degli Stati Uniti al dialogo con l’Iran. Il secondo è interno: l’elezione del presidente, carica che ha storicamente scarse funzioni di potere. Il mandato di Rivlin scadrà il 9 luglio prossimo e la legge prevede che le votazioni si tenga da 90 a 30 giorni prima di quel giorno. Cioè entro e non oltre il 9 giugno, esattamente una settimana dopo la scadenza del mandato esplorativo di Lapid. Le trattative politiche in corso, dunque, non possono che interessare anche l’elezione della più alta carica della Stato, con le candidature che vanno presentate (con il sostegno di almeno dieci membri della Knesset) due settimane prima del voto.

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