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C’era una volta la Germania arcigna e crudele. Erano gli anni a cavallo della grande crisi finanziaria post Lehman Brothers, quando Berlino impose all’intera Unione europea, o meglio alla zona Euro, l’austerity. Quel tetto al deficit del 3%, già previsto dal Trattato di Maastricht ma che trovò nel Patto di Stabilità (il Fiscal Compact), la sua naturale evoluzione. Per l’Italia, Paese con il terzo debito pubblico al mondo, sono stati anni difficili. E così anche per altre economie fortemente indebitate, Spagna, Portogallo e, ovviamente, Grecia, si sono ritrovate con gli spread alle stelle e le finanze pubbliche costantemente sotto pressione.

Ora tutto questo potrebbe essere finito. Lo dice il corso degli eventi, frutto della peggiore crisi socio-economica dal 1945 ad oggi. Tanto per cominciare l’Ue, Paolo Gentiloni dixit, ha sospeso il Patto di Stabilità fino a tutto il 2021 e con ogni probabilità lo stand by verrà esteso al 2022. Impossibile fare altrimenti, visto che quasi tutti i Paesi dell’Eurozona, Germania inclusa, hanno finanziato le misure anti-Covid ricorrendo al deficit (solo l’Italia ha approvato scostamenti in disavanzo per 170 miliardi, fino ad oggi, senza considerare i quasi 9 punti di Pil persi nel 2020, certificati oggi dall’Istat). E poi c’è il Recovery Fund, la cui natura è a base di prestiti, e dunque di debito.

Naturale, dunque, un cambio di paradigma su scala comunitaria. Una rivoluzione che sembra essere arrivata fino a Berlino, cuore della vecchia austerity formato Ue. La mina sembra essere scoppiata all’interno della Cdu, il partito di governo da poche settimane affidato ad Armin Laschet, che lo guiderà nelle elezioni federali del prossimo 21 settembre, ovvero quando uscirà di scena Angela Merkel dopo 15 anni di regno incontrastato sulla Germania e dunque sull’Ue.

Che cosa succede? Helge Braun, uno stretto collaboratore di Merkel, plenipotenziario nella Cdu e già ministro nel quarto governo della Cancelliera, avrebbe lanciato una proposta che nei fatti può riscrivere il modello tedesco nella gestione delle finanze pubbliche e quindi anche il modello europeo. E cioè modificare la Costituzione tedesca per consentire di contrarre più debiti per sostenere la ripresa dalla pandemia negli anni a venire.

Si tratta di abolire, nella sostanza, il cosiddetto freno all’indebitamento, introdotto nel 2009, nel pieno della crisi finanziaria, per colmare una falla nelle finanze pubbliche tedesche. La regola in questione impedisce infatti alle regioni tedesche, i Laender, di gestire il deficit di bilancio limitando il disavanzo del governo federale allo 0,35% del Pil.  In altre parole, il freno del debito vieta di avere un deficit federale, al netto dell’effetto di ciclo, superiore allo 0,35%. Una misura che ancora oggi rappresenta il cuore e la mission dell’austerity, che in molti in Ue considerano sempre più come un disastro politico ancor prima che economico. Senza considerare che il cambio di passo tedesco potrebbe rendere definitivamente inutile parte dello stesso Patto di Stabilità.

La differenza c’è. Perché sì, pochi mesi fa, la norma era stata sospesa dalla stessa Merkel, ma appunto, solo sospesa. Adesso, con la proposta di Braun, si ragiona su una sua abolizione, anche se nella Cdu l’idea sta incontrando molte resistenze, a cominciare da Laschet che si è lamentato con il collega per non aver coordinato la mossa. Che troverebbe senza dubbio la sponda del Fondo monetario internazionale, che da tempo predica nuovi equilibri economici totalmente svincolati da ogni logica di austerity. La stessa Ocse ha messo in guardia le cancellerie d’Europa da ogni rigurgito di inasprimento fiscale, che non solo sarebbe deleterio, ma anche poco compreso da imprese e lavoratori.

Secondo Christian Odenahl del Centre for European Reform di Berlino – citato dal Financial Times –, Braun ha fatto un favore a Laschet e all’Europa, ”ha rotto un tabù, che sarà affrontato dopo le elezioni”. E secondo lui, dietro la mossa c’è proprio Angela Merkel. La sua eredità potrebbe essere proprio la fine dell’austerity come principio cardine della finanza pubblica tedesca e dunque europea. Sempre che Friederich Merz, arrivato secondo nella corsa per la segreteria della Cdu e amante del rigore, non si metta in mezzo da qui al voto…

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