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Non saprei dire se in qualche altro Paese occidentale accade o sia accaduto che una compagine governativa si formi per via “civilistica”, sottoscrivendo cioè un “contratto” tra le parti. L’anomalia italiana si evince anche da queste alzate d’ingegno che testimoniano il pregiudizio e la diffidenza sulla quale si forma un esecutivo.

L’idea, come si sa, è stata partorita da Matteo Renzi, ma accolta da tutti i possibili contraenti, senza che nessuno abbia rilevato quanto meno la sfiducia che l’atto certifica. E su tale presupposto è difficile immaginare che, semmai dovesse prendere forma, il governo possa durare e navigare tra i marosi della politica e della pandemia fino alla scadenza naturale del 2023, superando lo “sbarramento istituzionale” dell’elezione del Capo dello Stato. Un atto che quasi certamente dal quale scaturiranno maggioranze diverse, si formeranno gruppi antagonisti tra gli stessi sottoscrittori del patto governativo, insorgeranno polemiche e dissidi perfino feroci, arricchiti a agguati come accade a Prodi qualche decennio fa, ed è impensabile se tutto ciò accadrà, che in virtù del “contratto” il governo e la maggioranza possano riprendere la navigazione come se niente fosse successo.

Ma ci facciano il piacere, avrebbe detto il principe de Curtis, in arte Totò!

L’espediente renziano, che prevede richieste, contropartite, cavilli e condizioni (per i nomi c’è tempo e su di essi la battaglia tornerà a essere aggressiva), punta a guadagnare un protagonismo nuovo dopo essere stato messo all’uscio dai vecchi alleati i quali, a malincuore, non possono che accettare il diktat dello statista di Rignano sull’Arno, posto che la ramazza con la quale intendevano raccogliere postulanti, mendicanti e straccioni da elevare a “costruttori responsabili” non ha fatto il suo dovere. Pochi superstiti di Valmy non sarebbero bastati a formare una coalizione rassicurante. E allora riecco il “traditore” del quale i partner non possono fare a meno al fine di evitare la sola strada che rimane, quella delle elezioni anticipate.

A dire la verità si potrebbero imboccare altri cammini: il governo  delle larghe intese o di salvezza nazionale – senza sottoscrivere nessun contratto -, oppure quello istituzionale o del presidente, guidato da una personalità al di fuori dei partiti, formato perlopiù da tecnici e appoggiato da tutto il Parlamento o quasi.

Ma queste ipotesi dovrebbero comprendere anche il centrodestra, diversamente non avrebbero senso, ma  e siccome questa finta coalizione è profondamente divisa, soprattutto per le ubbie sovraniste di Fratelli d’Italia i quali hanno una sola freccia (spuntata) al loro arco, le elezioni, non se ne farà niente. Berlusconi e Salvini inclini a contribuire a una sorta di esecutivo “responsabile” si scontrano con la Meloni disposta soltanto a un governo di centrodestra (con quali voti non si sa) oppure, come detto, allo scioglimento delle Camere.

Dunque, l’ostinazione del partito che dovrebbe essere conservatore e riformista ad un tempo, rappresentato al più alto livello europeo dalla sua leader, costringerà l’eterogenea compagnia partitica a piegarsi al diktat di Renzi, stipulare l’anomalo contratto e tenersi Conte fino a quando il documento non verrà strappato da qualcuno, probabilmente in occasione dell’elezione presidenziale.

E già. Nessuno sarà tanto ingenuo da ritenere che il documento, probabilmente stipulato davanti a un notaio (vero o finto ha poca importanza), per nessun motivo, come una bolla sacra, potrà essere messo in discussione. È un escamotage, un espediente, una carta d’imbarco nel nuovo esecutivo. Un modo, dirà Renzi, e con lui i suoi sodali, per chiarire ogni punto della contesa che ha portato alla crisi.

Ma la crisi resterà, purtroppo. Bastasse una scartoffia per mandarla in soffitta, chiunque sarebbe disposto a sottoscriverne a josa. In crisi non è una formula o una maggioranza, bensì il sistema politico-istituzionale che con i suoi bizantinismi, il pressappochismo che rivela ad ogni stormir di fronda, l’inanità della classe politica che lo rappresenta nel fronteggiare tragedie immani come la pandemia, rivela che ben altri strumenti occorrerebbero per superarla o quantomeno contrastarla.

Il Covid ha messo a nudo, se ce ne fosse stato ancora bisogno, la miseria politica di un’accozzaglia di presuntuosi, voltagabbana e inetti. Nel suo ultimo libro Luca Ricolfi, La notte delle ninfee. Come si malgoverna un’epidemia, scrive che il governo non ha saputo far di conto, ma ha in compenso combinato molti pasticci che potevano essere evitati, con ritardi nelle chiusure e con progetti rimasti sulla carta e poi ripresi a tempo scaduto per superare la seconda ondata. Un disastro, insomma, a fronte di come la lotta al virus è stata affrontata in altri Paesi. Mentre la vanagloria di Conte e dei suoi ministri – documentata sempre da Ricolfi in un saggio che ognuno dovrebbe leggere per capire come sono andate le cose – suona come un’insopportabile offesa agli italiani.

E questi signori, confusi e malmostosi, dovrebbero fare un governo, “contrattualizzato” oltretutto, per affrontare cose più grandi di loro, a cominciare dalla guerra alla pandemia… Non ci si può credere che gli stessi che hanno diffuso disperazione e incertezza debbano continuare a gestire un potere del quale non conoscono gli Arcana, ma neppure i fondamentali.

Un governo fondato sul “contratto” sarà bruciato dalla pandemia. Scrive Malgieri

Il documento è  un escamotage, un espediente, una carta d’imbarco nel nuovo esecutivo. Nessuno sarà tanto ingenuo da ritenere che sia intoccabile. In crisi non è una formula o una maggioranza, bensì il sistema politico-istituzionale che rivela che ben altri strumenti occorrerebbero per superarla o quantomeno contrastarla. Il commento di Gennaro Malgieri

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