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Il 31 maggio 2011 Mario Draghi leggeva le sue ultime “Considerazioni finali” all’assemblea annuale della Banca d’Italia. Dopo cinque anni da Governatore stava per lasciare il Paese per guidare la Bce. Si sarebbe insediato all’inizio di novembre di quell’anno, e ad agosto avrebbe sottoscritto – come presidente entrante, insieme al presidente uscente, Jean-Claude Trichet – la nota lettera al Governo italiano che pose le basi per la fine del Governo Berlusconi e la nascita del Governo Monti.

In quella lettera era contenuto un programma di governo che Francoforte (e Bruxelles) richiedeva (imponeva) all’Italia. Con qualche ruvidezza in più – come il passaggio che prefigurava una possibile riduzione di stipendi nel pubblico impiego: “Il Governo dovrebbe valutare una riduzione significativa dei costi del pubblico impiego, rafforzando le regole per il turnover (il ricambio, ndr) e, se necessario, riducendo gli stipendi” scrivevano Draghi e Trichet – il contenuto della lettera avrebbe già potuto essere letto in filigrana in quelle ultime “Considerazioni”, stilate dopo cinque anni al vertice di Bankitalia.

FABRIZIO SACCOMANNI MARIO DRAGHI 2011

In attesa di conoscere il programma del prossimo Governo Draghi, può essere utile ripercorrere i temi di quelle “Considerazioni”, in gran parte di stringente attualità, nonostante siano trascorsi dieci anni (e sette Governi: Berlusconi, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni, Conte uno e Conte due).

L’emergenza sanitaria (con le connesse emergenze sociale ed economica, ribadite dal Capo dello Stato) che stiamo attraversando ha stravolto l’agenda di allora. Certo. Ma molti problemi che il Governatore Draghi indicava, sono ancora tra quelli che il premier Draghi dovrà affrontare.

Innanzitutto: ridurre la spesa. Si dirà che non è più un obiettivo cogente, come allora, in un tempo in cui sembra prioritario sapere come spendere, piuttosto che sapere che cosa risparmiare. Ma per contenere il “debito cattivo” (sempre per citare Mario Draghi) sarà inevitabile provvedere a tagli.

Scriveva Draghi: “Per ridurre la spesa in modo permanente e credibile non è consigliabile procedere a tagli uniformi in tutte le voci (…) Occorre invece un’accorta articolazione della manovra, basata su un esame di fondo del bilancio degli enti pubblici, voce per voce, commisurando gli stanziamenti agli obiettivi di oggi, indipendentemente dalla spesa del passato; affinando gli indicatori di efficienza dei diversi centri di servizio pubblico (uffici, scuole, ospedali, tribunali) al fine di conseguire miglioramenti capillari nell’organizzazione e nel funzionamento delle strutture”. Insomma, la Pubblica Amministrazione è avvertita.

Poi il Fisco (una riforma fiscale è tra quelle inevitabili e attese dall’Europa). Meno tasse per tutti. Scriveva Draghi nel 2011: “Andrebbero ridotte in misura significativa le aliquote, elevate, sui redditi dei lavoratori e delle imprese, compensando il minor gettito con ulteriori recuperi di evasione fiscale”. Non solo: “Per incentivare il ricorso al capitale di rischio andrebbe ridotto, nel quadro di una complessiva ricomposizione del bilancio pubblico, il carico fiscale sulla parte dei profitti ascrivibile alla remunerazione del capitale proprio”. E aggiungeva: “Il federalismo fiscale può aiutare, responsabilizzando tutti i livelli di governo, imponendo rigidi vincoli di bilancio, avvicinando i cittadini alla gestione degli affari pubblici. Due condizioni sono cruciali: che i nuovi tributi locali siano compensati da tagli di quelli decisi centralmente e non vi si sommino; che si preveda un serrato controllo di legalità sugli enti a cui il decentramento affida ampie responsabilità di spesa”.

FABRIZIO SACCOMANNI CARLO AZEGLIO CIAMPI MARIO DRAGHI 2011

C’è di che fare un programma di Governo. E poi tocca alla riforma della Giustizia, invocata nel 2011 da Draghi con parole che poco sembrerebbero allineate a quelle del ministro uscente Bonafede: “Va affrontato alla radice il problema di efficienza della giustizia civile: la durata stimata dei processi ordinari in primo grado supera i 1.000 giorni e colloca l’Italia al 157esimo posto su 183 paesi nelle graduatorie stilate dalla Banca Mondiale; l’incertezza che ne deriva è un fattore potente di attrito nel funzionamento dell’economia, oltre che di ingiustizia. Nostre stime (di Bankitalia, ndr) indicano che la perdita annua di prodotto attribuibile ai difetti della nostra giustizia civile potrebbe giungere a un punto percentuale”.

E ancora: concorrenza, soprattutto nei servizi pubblici locali. “La concorrenza, radicata in molta parte dell’industria, stenta a propagarsi al settore dei servizi, specialmente quelli di pubblica utilità. Non si auspicano privatizzazioni senza controllo, ma un sistema di concorrenza regolata, in cui il cliente, il cittadino sia più protetto. La sfida della crescita non può essere affrontata solo dalle imprese e dai lavoratori direttamente esposti alla competizione internazionale, mentre rendite e vantaggi monopolistici in altri settori deprimono l’occupazione e minano la competitività complessiva del Paese”. Se le parole di Draghi Governatore diventeranno quelle di Draghi premier sono avvertite Atac e Acea, tanto per fare due nomi.

Un altro “avvertimento” alla Pubblica Amministrazione e alle norme del diritto amministrativo – e all’efficienza della macchina burocratica – si legge nelle parole, di dieci anni fa, ma quanto mai attuali, dedicate alla capacità di spesa dei fondi europei: “I progetti finanziati dal Fondo europeo di sviluppo regionale vengono eseguiti in tempi quasi doppi rispetto a quelli programmati, contro ritardi medi di un quarto in Europa, e i costi eccedono i preventivi del 40 per cento, contro il 20 nel resto d’Europa. Nell’alta velocità ferroviaria e nelle autostrade i costi medi per chilometro e i tempi di realizzazione sono superiori a quelli di Francia e Spagna, in una misura solo in parte giustificata dalle diverse condizioni orografiche (…). I fondi strutturali comunitari attualmente a nostra disposizione sono stati spesi solo per il 15 per cento: quelli non spesi ammontano a 23 miliardi, a cui va associato il relativo cofinanziamento nazionale. Accelerare tutti questi interventi darebbe un forte impulso all’attività economica”.

Certamente il Governatore Draghi ha detto molto altro, nelle sue Considerazioni, oltre a ciò che mi sono limitato a ricordare. Anche soltanto da questa personale selezione emerge un programma chiaro e forte. Ma c’è da credere – nonostante la quasi unanimità di facciata di queste ore – che non piacerà a tutti.

Il governatore Draghi detta il programma al Draghi premier. Il punto di Mastrapasqua

Di Antonio Mastrapasqua

Nelle sue ultime considerazioni finali da Governatore di Banca d’Italia (2011), Draghi aveva scritto un “programma politico” ideale fatto di taglio alle tasse, più concorrenza (anche nei servizi pubblici) e meno spesa pubblica (se serve, decurtando gli stipendi). Ne fa un’attenta analisi Antonio Mastrapasqua, manager d’azienda ed ex presidente Inps

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