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Nelle ultime ore si è fatta avanti con forza l’ipotesi, avanzata per prima dal Wall Street Journal, dello svolgimento di negoziati relativi al cessate il fuoco nel conflitto in Ucraina all’interno dello Stato Vaticano. Oltre allo Stato papale, ed alle due parti in causa del conflitto che infuria dal febbraio del 2022, ad essere coinvolti in questa rete diplomatica ci sarebbero Stati Uniti, Turchia ed Italia, la quale sarebbe in qualche modo al centro di questa geometria multipolare. Ian Lesser, vicepresidente del German Marshall Fund, ha accettato l’invito di Formiche.net ad analizzare la situazione.

Si parla di un possibile incontro in Vaticano tra le due parti coinvolte nel conflitto. Secondo lei, esiste una possibilità concreta?

Sì, penso che sia molto possibile e fattibile come opzione. Credo che, per una serie di ragioni, dalla situazione sul campo alle trasformazioni politiche interne, soprattutto in Occidente, si sia creata una realtà basata su presupposti diversi. Ad oggi, penso che le condizioni siano mature per dei colloqui diretti tra le parti.

Come vede il Vaticano come possibile luogo di svolgimento dei negoziati?

Il Vaticano potrebbe essere il luogo neutrale perfetto e offrire il giusto contesto diplomatico per puntare a dialoghi concreti, invece che solo formali. C’è un bisogno di una sorta di luogo neutrale per facilitare i negoziati e fornire una copertura simbolica. Si può immaginare una cosa del genere in vari contesti, e il Vaticano è sicuramente uno di questi.

La premier italiana Giorgia Meloni si sta mostrando molto proattiva riguardo ai negoziati nel loro complesso. Che ruolo vede per Roma nel processo negoziale?

L’Italia è uno di quei Paesi che sarebbero ampiamente accettati come facilitatori di questi negoziati. Nonostante la posizione chiara dell’Italia a favore dell’Ucraina, Roma ha mantenuto per anni un rapporto funzionante con la Russia, sia economico che politico; inoltre, il governo Meloni ha un rapporto stretto con Washington, ha una certa affinità ideologica con l’amministrazione Trump. E poi l’Italia, come altri grandi attori europei, sarà comunque una parte interessata nel risultato finale. Non mi sorprenderei se avesse un ruolo tutt’altro che passivo, anzi. Anche alla luce della postura internazionale piuttosto attiva.

Che ruolo avranno gli Stati Uniti in un simile scenario?

La componente americana sarebbe essenziale, perché è essenziale per il futuro dell’Ucraina, ma rappresenta anche uno strumento per la Russia per ottenere un alleggerimento delle sanzioni, cosa che ovviamente desidera. Quindi il coinvolgimento degli Stati Uniti appare essere cruciale per entrambe le parti interessate. Questo non significa necessariamente che gli Stati Uniti debbano essere i mediatori diretti, ma devono essere parte interessata e, potenzialmente, un elemento del negoziato, perché il ruolo americano sarà fondamentale sia per la sicurezza e la ricostruzione dell’Ucraina, sia per ciò che Vladimir Putin vorrà ottenere.

E la Turchia? Il presidente Erdogan potrebbe essere il mediatore ideale, grazie alla sua posizione ambigua, che può essere letta come “neutrale” da entrambe le parti?

È chiaro che la Turchia vorrebbe svolgere questo ruolo, per molte ragioni. In parte perché ha un interesse diretto nella risoluzione del conflitto, in parte per l’importanza che attribuisce al proprio ruolo regionale e internazionale. Sono d’accordo sul fatto che la posizione ambivalente della Turchia tra le due parti le conferisce una certa “vocazione” a facilitare. Detto questo, non esagererei. Anche in questo caso vedrei più un ruolo di facilitatore che di mediatore diretto. Ma certo, la Turchia ha un ruolo interessante e importante, perché è un attore regionale, un Paese del Mar Nero. Ci sono pochi altri Stati con un interesse più forte e diretto nell’esito di questo conflitto o di un eventuale processo negoziale.

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