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Il ministro israeliano per gli Affari strategici, Ron Dermer, e il direttore del Mossad, David Barnea, si incontreranno oggi a Roma con Steve Witkoff, negotiator-in-chief della Casa Bianca, a margine dei colloqui che la delegazione americana guidata da Witkoff avrà con quella iraniana. Nella capitale italiana infatti, inviati di Washington e Teheran tornano a parlare, per la quinta volta nel giro di due mesi, del programma nucleare della Repubblica islamica. E gli israeliani chiedono di coordinare le posizioni con l’alleato statunitense, e ricevere un briefing immediato dopo i colloqui. Niente sorprese, il governo di Benjamin Netanyahu è rimasto scosso da come Donald Trump ha gestito l’accordo di tregua con gli Houthi, includendo indirettamente nell’intesa la possibilità che i ribelli yemeniti continuino a colpire lo Stato ebraico. Dunque con l’Iran, vista anche la posta in gioco, l’obiettivo è evitare colpi trasversali.

La paura è questa: la visione trumpiana di “peace through strength” è dettata sul raggiungimento dell’obiettivo in tempi rapidi e tramite concessioni. Gli israeliani si chiedono quali saranno quelle concessioni a Teheran su cui Trump è disposto ad accettare compromessi. Anche perché sono perfettamente consapevoli che nella regione ci sono altri attori — Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar — con cui Washington ha anche recentemente dimostrato totale allineamento, e che hanno in buona parte risolto le loro controversie con Teheran con compromessi pragmatici, in nome di equilibrio e pseudo-stabilità.

Ieri, Trump e Netanyahu hanno avuto una conversazione telefonica, legata anche all’attentato di Washington (dove due membri dell’ambasciata israeliana sono rimasti uccisi) e alla situazione a Gaza — su cui il presidente ha una visione severa riguardo alle vittime civili. Secondo il readout israeliano, i due leader hanno discusso del fatto che l’Iran non deve avere capacità nucleari, ma la portavoce della Casa Bianca ha aggiunto che hanno parlato anche del “potenziale accordo con l’Iran che il presidente crede si stia muovendo nella giusta direzione”. “Questo potrebbe finire in una soluzione diplomatica molto positiva o in una situazione molto negativa per l’Iran”, ha detto White House.

E in questa seconda ipotesi sta parte del problema: Israele vorrebbe vedere i talks (è il termine inglese con cui vengono definiti questi contatti diplomatici in corso, che non sono proprio negoziati) Usa-Iran naufragare, così poi da passare all’azione cinetica contro la Repubblica islamica. Azione che difficilmente Netanyahu può condurre da solo, e su cui si vuole assicurarsi il supporto americano. Washington (e la vicenda degli accordi con gli Houthi dopo qualche settimana di bombardamenti intensi lo dimostra) vuole però evitare di partecipare a interventi armati. E un attacco ai siti nucleari iraniani significherebbe ben più di un intervento, ma l’inizio di un’enorme guerra regionale.

Nel frattempo, l’Iran ha colto l’occasione per prendere posizione. Il ministro degli Esteri, Abbas Araghchi, che sarà a Roma a guidare i negoziati ospitati in terreno neutro dall’ambasciatore omanita, ha inviato una lettera preoccupante all’Agenzia internazionale per l’energia atomica — la Iaea, che monitora, a fatica, le attività di Teheran. L’Iran avvisa che potrebbe nascondere il materiale atomico (a cui i tecnici dell’Iaea hanno già non facile accesso) senza avvisare  l’agenzia.

“L’Iran mette fortemente in guardia contro qualsiasi avventurismo da parte del regime sionista israeliano e risponderà con decisione a qualsiasi minaccia o azione illegale da parte di questo regime”, dice la lettera. E ancora: “Crediamo anche che se qualsiasi attacco dovesse essere effettuato contro le strutture nucleari della Repubblica islamica dell’Iran da parte del regime israeliano, il governo degli Stati Uniti sarà complice e avrà la responsabilità legale”. Questo è il clima attorno al meeting che inizia adesso a Roma. Per quando probabili, non ci sono conferme su incontri tra i protagonisti e il governo italiano, che prova a far valere la diplomazia multidimensionale mossa da Giorgia Meloni anche su questo dossier.

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