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Gli uffici occidentali delle gravi preoccupazioni lavorano a pieno regime. Ieri Russia, oggi Myanmar, domani probabilmente un altro caso da attenzionare per 24 ore ancora. Le denunce e richieste di liberazione di manifestanti e personalità politiche abbondano in un rapido susseguirsi di repressioni autoritari in un mondo che brucia.

G7, Unione europea, Five Eyes (con o senza Nuova Zelanda), Stati Uniti: non mancano gli attori geopolitici pronti a scatenare l’arma della penna con messaggi che nel contenuto sono ormai tutti uguali tra di loro. L’unico parametro di vera distinzione si può trovare nella tempestività (o meno) di tale dichiarazioni, in cui in l’Unione europea spicca solitamente per un notevole ritardo quando si tratta della Repubblica popolare cinese e del suo regime, il più inteso a sovvertire l’ordine mondiale.

Non è un’indicazione secondaria, in quanto chiara dimostrazione della riluttanza con la quale l’attuale assetto europeo affronta la maggiore sfida dei nostri tempi postmoderni, una sfida che rischia di portare nella tomba non solo i popoli perseguitati in Cina ma anche le nostre libertà.

Come già denunciato più volte, è un assetto a traino tedesco che sulla carta parla di diritti, di libertà, di democrazia, ma che dopo il dovuto atto di denuncia formale prende la stessa penna per sottoscrivere un’Accordo complessivo sugli investimenti con la Cina o l’intesa sul gasdotto “russo” Nord Stream 2, tenendo fermamente in vita quei regimi sanguinari e corrotti che alla sola menzione di “diritti umani” gridano alle interferenze straniere.

L’attuale non-azione delle massime istituzioni europee — con l’eccezione del Parlamento europeo, sempre più coraggioso — sta gravemente ipotecando il futuro del Vecchio continente ricostruito sulla premessa del “Mai più” ma perso per la strada in un incrocio di potenti interessi aziendali e una lampante mancanza di visione geostrategica a tutela dei suoi cittadini e dei suoi valori fondanti.

Sono innegabili i segni di una rivoluzione mondiale contraria a quella degli Anni Novanta a seguito della caduta simbolica del Muro di Berlino. Dalle istituzioni multilaterali costruite per promettere e garantire libertà e diritti a tutti alla complicità strategica economica che spinge verso Est, gli spazi di e per le democrazie si stanno esaurendo a colpo d’occhio.

Non si riesce a capire dove e come Francia e Germania pensino di affermare il nuovo mantra dell’autonomia strategica in questo quadro. Se non negli interessi a breve termine di qualche gruppo economico-finanziario molto ristretto sui quali organismi come l’Organizzazione mondiale della sanità, così attivi nel denunciare l’incremento nelle disuguaglianze mondiali a causa della pandemia, evidentemente non hanno niente da ridire finché vanno nella direzione Est.

Non vi è ragione che tenga. Non vi è ragione che possa spiegare politiche che amplificano il divario con l’alleato storico dall’altra parte dell’Atlantico, partner che — ricordiamo — continua a garantire la sicurezza anche dalle nostre parti, spingendo per una dipendenza sempre maggiore con rivali strategici quali sono i regimi cinesi e russi. Non vi è ragione, se non il sospetto che nell’Unione europea vi è chi ha scommesso sul sopravvivere a lungo di tali regimi, alla faccia delle popolazioni che ne chiedono con coraggio la fine, mettendo a rischio la propria incolumità e libertà. 

Popolazioni che all’Occidente non chiedono altro che un essere fedeli ai valori e principi di cui si fa portatore a parole nelle consuete e scontate lettere di denuncia. Il Trattato sull’Unione europea parla chiaro: l’Unione non solo è fondata su diritti umani e democrazia, ma ha l’obbligo di portare avanti questi principi in tutte le sue azioni anche con il mondo esterno. Su questa base le opposizioni russe hanno chiesto non un intervento diretto, ma un azione di sostegno alle migliaia di manifestanti che anche questa fine settimana hanno riempito le città russe che sia in linea con tale obbligo, togliendo il sostegno occulto a chi gli opprime.

Già la settimana scorsa, Mikhail Khodorkovsky, Garry Kasparov, Vladimir Kara-Murza e Bill Browder avevano avanzato la richiesta chiave di adottare delle sanzioni mirate individuali contro i massimi responsabili e l’apparato di alti funzionari che tiene in vita il regime di Vladimir Putin sotto il nuovo Global Human Rights Sanctions Regime, il Magnitsky Act europeo. Richiesta ripetuta venerdì in una lettera della Fondazione anti-corruzione di Alexei Navalny, autore di numerosi reportage sulla corruzione politica rampante nella Federazione russa.

Richieste non pervenute, se non per accenni da parte della Polonia che conosce fin troppo bene il pericolo russo. Mentre il regime barcolla, Bruxelles e Berlino — figuriamoci Roma — nei fatti tacciono. Hanno a disposizione un’arma nonviolenta formidabile che potrebbe tagliare le gambe ai pochi che sottomettono una nazione intera, che potrebbe portare la Russia a sognare un futuro diverso e luminoso, un futuro che potrebbe portare maggiore sicurezza alla stessa Unione europea nonché depotenziare una possibile alleanza rinforzata con il regime cinese. Ma preferiscono limitarsi agli appelli diplomatici.

Onorare persone come Navalny, che sacrifica in pieno modo nonviolento il suo corpo sull’altare della lotta per la democrazia, non si fa predisponendo magari già qualche stanza in ospedale per accogliere la prossima vittima delle politiche assassine di Putin e compagnia. Lo si fa ascoltando e dando seguito alle sue richieste, richieste echeggiate nelle piazze russe. Richieste echeggiate a Hong Kong, in Cina, in Cambogia, in Venezuela, in Iran, e ovunque i cittadini si fanno martiri nella atroce lotta contro i regimi oppressori.

Richieste sulle quali a parola l’Unione europea si è detta pronta, adottando il meccanismo Magnitsky a dicembre scorso, ma dalle quali evidentemente non vuole sentire parlare. Meglio firmare l’accordo con la Cina e portare a compimento il Nord Stream 2…

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