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Gli Stati Uniti potrebbero non essere in grado di ridurre per ora la presenza delle truppe in Afghanistan, a causa del rifiuto dei Talebani di rispettare i termini concordati nell’accordo di pace con Washington. La dichiarazione – fatta da John Kirby, ammiraglio e nuovo segretario stampa del Pentagono – è importante perché inverte una posizione tenuta dalla presidenza Trump e disegna una realtà di cui si è più volte parlato. I Talebani sono tornati all’attacco, hanno ripreso sia azioni terroristiche che operazioni militari sul campo sorprendendo le (deboli) forze governative, anche con lo scopo di arrivare ai tavoli con più carte in mano e mettere pressioni sui negoziati in corso.

Lo scorso anno gli Stati Uniti hanno negoziato un accordo con i talebani che avrebbe introdotto un cessate il fuoco permanente e ridotto l’impronta dell’esercito americano in Afghanistan. Era un obiettivo politico per Donald Trump, che ha sempre parlato della necessità di porre fine alle cosiddette “endless war“, guerre senza fine definite anche “ridicole” dall’ex presidente e di cui quella in Afghanistan – la più lunga della storia americana – ne è inevitabilmente simbolo. Sotto questa necessità politico-elettorale – che Trump ha usato anche durante la campagna Usa2020 declinandola in toni “America First” – è stato ignorato il contesto afgano.

Quello che dice Kirby per questo è interessante, anche perché aggiunge che il nuovo capo del Pentagono, Lloyd Austin, sta già rivedendo la misura sul ritiro (iniziato un paio di settimane fa con l’obiettivo di ridurre il contingente americano a 2500 effettivi in totale) e ne sta parlando con gli alleati Nato.

È un fattore ulteriore: Trump ha sempre rivendicato che la sua decisione è stata unilaterale, sebbene i vertici militari ricordavano costantemente che c’era colloquio con gli alleati. Gli stessi alleati che formalmente sono stai mobilitati in Afghanistan perché gli Stati Uniti chiesero l’applicazione dell’Articolo 5 della Nato dopo il 9/11, considerando i Talebani che guidavano il paese responsabili di dare aiuto e copertura ad al Qaeda.

Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, con cui in questi giorni sia il Pentagono che la nuova Casa Bianca hanno avuto interlocuzioni, non più tardi che due mesi fa aveva avvertito che lasciare l’Afghanistan troppo presto o in uno sforzo non coordinato avrebbe potuto comportare conseguenze indesiderate per l’alleanza.

Se da un lato le necessità delineate da Stoltenberg – il ritorno dei Talebani nel Paese, i collegamenti pragmatici di questi con rivali dell’alleanza, la possibilità che il gruppo dia ancora riparo ai qaedisti – sono aspetti di valore tattico-strategico prominente, qualsiasi decisione di Biden dovrà scontrarsi con il sentimento popolare statunitense. Quello che Trump aveva usato per guidare la sua posizione.

La guerra afghana, se si somma all’intervento in Iraq e Siria, è costata ai contribuenti statunitensi 1,57 trilioni di dollari – i dati sono di un report del Pentagono – e senza che questo creasse effettivi ritorni per gli americani. È un tema di carattere politico interno prima ancora di valore internazionale.

“Il segretario è stato molto chiaro, e anche il presidente Biden lo ha fatto: è ora di porre fine a questa guerra, ma vogliamo farlo in modo responsabile, vogliamo farlo in linea con i nostri interessi di sicurezza nazionale e quelli dei nostri partner afgani “, ha detto Kirby ai giornalisti al Pentagono.

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