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Coinbase Global ha sempre cercato di essere più di un posto dove la gente compra e vende denaro digitale ed è proprio per questo motivo che ha deciso di entrare in borsa: per diventare un ponte tra il mondo delle criptovalute e la finanza convenzionale. La scorsa settimana, la Securities and Exchange Commission ha approvato la quotazione, ma in contrasto con le regolari offerte pubbliche iniziali (Ipo) “nessuna nuova azione sarà venduta e gli investitori esistenti non dovranno aspettare sei mesi prima di poter lanciare le loro azioni, il che significa che possono beneficiare di qualsiasi euforia iniziale e di un alto prezzo delle azioni.”

Difatti, come riporta The Economist, “i risultati del primo trimestre di Coinbase, rilasciati il 6 aprile, dovrebbero generare una certa esultanza. Si stima provvisoriamente un profitto di 730-800 milioni di dollari su un fatturato di circa 1,8 miliardi di dollari […]. La sua valutazione iniziale potrebbe superare i 100 miliardi di dollari, superando forse anche quella di Facebook, un gigante dei social media, che è stato valutato 104 miliardi di dollari quando si è quotato nel 2012.”

Coinbase ha dunque rinunciato alla possibilità di una Ipo, accettando invece un’offerta pubblica diretta (Dpo) di 114.9 milioni di dollari. Questo permette al mercato di criptovalute creato da Brian Armstrong di puntare tutto sui propri investitori, liberi di lanciare azioni ma anche di ritirarle. È un modo molto rischioso per entrare in borsa, ma dei rischi Coinbase non sembra avere paura.

The Economist ha però sottolineato le tante incertezze presenti in questa scelta. “Anche se [Coinbase] ha ramificato un po’, e ora offre servizi per conservare e salvare criptovalute, le commissioni di transazione costituiscono ancora il 96% delle entrate dello scorso anno. Questo non solo significa che le sue fortune dipendono fortemente dalla salute della cripto-economia, spesso volatile; significa anche che la sua presa potrebbe ridursi se la concorrenza si farà sentire. Dei 335 miliardi di dollari di scambi nel primo trimestre del 2021 ha tenuto circa lo 0,5% in commissioni – molto di più, per esempio, del Nasdaq, la borsa su cui Coinbase si quoterà.”

Altre due incertezze: il management e la “non-decentralizzazione” dell’organizzazione. Infatti, come ha scritto il giornalista Jeff John Roberts nel suo libro su Coinbase, Amstrong non è un grande leader tech al pari di Steve Jobs o Elon Musk, e per questo “non può portare avanti la sua visione di fare arrivare la crittografia alle masse con la sola forza della sua personalità.” Deve avere qualcosa in più. Ed infine, il fatto avere un’organizzazione centralizzata farà sì che “i rivali più pericolosi dell’azienda potrebbero non essere né i suoi pari, come Binance e Kraken, né le istituzioni finanziarie convenzionali, ma quelli senza una grande organizzazione dietro di loro – completamente decentralizzati, come la maggior parte delle criptovalute stesse.”

È quindi alto il rischio di investire in azioni legate alle criptovalute, volatili di natura, ancora di più considerate queste grandi incertezze. Ma Coinbase è pur sempre la società pioniera in questo wildwest e, anche se fondata nel 2012, è solo all’inizio.

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