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Marco Zanni, 34 anni, è il leader dei sovranisti a Bruxelles, presidente del Gruppo Identità e Democrazia, ma è anche una delle voci più ascoltate del Carroccio in Ue. Una scalata fulminea: tre anni fa ha abbandonato il Movimento Cinque Stelle per passare nelle fila del “Capitano”. Poi la ricandidatura, “non avevo nulla di garantito”, quindi l’incetta di preferenze nel 2019. Oggi tiene le fila, e non è un compito da niente. La Lega vuole uscire dall’angolino sovranista. Aprire uno spioncino alla Cdu di Armin Laschet e una porta al nuovo presidente americano, Joe Biden.

Zanni, allora perché vi siete astenuti da una risoluzione del Parlamento Ue che condannava l’assalto al Congresso americano? Non è un grande biglietto da visita…

Su questo episodio si è fatta molta confusione. Era un emendamento alla relazione sulla politica di sicurezza di David McCallister. Noi abbiamo sempre condannato la violenza, senza distinzioni e avremmo volentieri votato un emendamento che condannasse quanto avvenuto a Capitol Hill, senza strumentalizzazioni politiche.

Poi?

La relazione McAllister era molto ampia e riguardava la politica estera a 360 gradi. I socialisti hanno introdotto all’ultimo un’aggiunta al paragrafo sul partenariato transatlantico che sostanzialmente metteva sullo stesso piano i violenti a Washington DC e tutti i “cattivoni” sovranisti e populisti in Europa. Una forzatura inutile e ideologica.

Sarà, ma intanto passa di nuovo l’immagine di una Lega che tentenna sugli Usa.

Non sono d’accordo. Le ambasciate a Bruxelles sanno come funzionano queste dinamiche parlamentari. Peraltro ci siamo astenuti proprio per far capire la differenza. Abbiamo detto più volte che i contatti diplomatici proseguono con Biden e che condanniamo senza se e senza ma i fatti del 6 gennaio.

Quattro anni fa avete criticato Matteo Renzi per il suo endorsement a Hillary Clinton. Mettersi fino alla vigilia delle elezioni i cappellini con scritto “Trump” non è la stessa cosa?

Non è un mistero che avessimo una preferenza per un secondo mandato di Trump, su molti punti dell’agenda ci trovavamo d’accordo. Ma i rapporti fra Italia e Stati Uniti prescindono dal colore dell’amministrazione. E nei prossimi quattro anni non mancheranno punti di contatto, dalle regole sul commercio ai rapporti con la Cina e l’Iran. Piuttosto sono preoccupato di chi a Bruxelles crede che certe posizioni degli Usa siano figlie di Trump: nella sostanza su committment Ue alla Nato e politica estera non credo cambierà molto sotto l’amministrazione Biden.

Intanto a Berlino si apre una nuova era, quella di Armin Laschet a capo della Cdu. Con lui volete parlare?

Ma certo, con loro parliamo già tutti i giorni al di là di quello che raccontano i media. Su tanti temi la Lega lavora insieme al Ppe. Con Laschet non cambia. Certo, bisogna sempre essere in due a volerlo.

Una Lega nel Ppe è impensabile?

Ad oggi non ci sono le condizioni. Credo che sia il Ppe a dover fare chiarezza sul suo futuro, al suo interno c’è una spaccatura, chi guarda alla sinistra, chi ai Conservatori.

Forse può accorciare le distanze la vostra dura condanna dell’arresto in Russia di Alexei Navalny. Quattro mesi fa avete votato contro le sanzioni Ue a Mosca. Cosa è cambiato?

Nulla, noi abbiamo sempre mantenuto un approccio pragmatico. A settembre abbiamo condannato l’avvelenamento di Navalny e chiesto alle autorità russe di permettere una indagine internazionale indipendente, ma anche ribadito che lo strumento delle sanzioni è controproducente per l’economia italiana.

Rimane un fatto: il vostro partito è legato da un memorandum al partito di Vladimir Putin, Russia Unita.

Un memorandum non cambia la nostra linea: condanniamo l’arresto, e auspichiamo che le prossime elezioni si svolgano nel rispetto delle regole democratiche. Siamo i primi, in Parlamento, a chiedere di essere prudenti, penso alla dipendenza energetica nei confronti di Mosca, al Nord Stream 2 che vuole la Merkel, non certo Salvini.

Spostiamoci a Roma. Com’è la crisi vista dall’Ue?

Uno spettacolo indegno, con un governo che si regge sui cambi di casacca all’ultimo minuto.

Anche lei ha cambiato squadra tre anni fa…

Sono casi molto diversi. Io non avevo ragioni di opportunismo, ma ideologiche, e i fatti lo dimostrano. Il Movimento allora era dato al 30%, la Lega intorno al 13%, né avevo alcuna promessa di essere ricandidato. Qui parliamo di persone che, all’ultimo secondo, cambiano casacca per una poltrona in più, saltando sul carro del vincitore.

Vi fidate di Berlusconi? Il pressing da Palazzo Chigi continua…

Forse qualcuno dei suoi può cedere, lui reggerà. Non ha interesse a rompere il centrodestra. È un gentiluomo della politica, lo prendiamo in parola.

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