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La prima intervista televisiva del nuovo presidente Joe Biden andrà in onda per intero stasera, nel pre-partita del Super Bowl – tempistica straordinaria per attenzione mediatica. Non sarà in diretta però: è stata curata da Norah O’Donnell – anchor di “Evening News” della CBS – e alcuni spezzoni sono stati trasmessi già venerdì e domenica mattina (nel pomeriggio, orario italiano, ndr).

Mentre degli stralci diffusi nei giorni scorsi quello che ha fatto più scalpore ha riguardato la volontà espressa dall’attuale presidente di tagliare il predecessore Donald Trump dai briefing di intelligence (che gli spetterebbero per rispetto istituzionale in quanto ex inquilino della Casa Bianca, ma che sono considerati fattori critici a “causa del suo comportamento imprevedibile”, ossia potrebbero essere usati dall’ex presidente per diffondere notizie alterate da cui trarre vantaggio nel consenso, col rischio di riprodurre quanto accaduto al Congresso il 6 gennaio), gli estratti usciti nelle ultime ore riguardano temi di politica estera.

Innanzitutto la Cina, prima per ordine di importanza per stessa ammissione del commander-in-chief già durante il suo primo discorso sugli affari internazionali, quello di giovedì 4 febbraio al dipartimento di Stato. Biden ha detto che il capo di quello stato cha ha già indicato come “most serious competitor“, il segretario del Partito comunista cinese Xi Jinping, “non ha un osso democratico, nemmeno piccolo, nel suo corpo”.

Un attacco pesante, diretto al corpo del leader, aspetto simbolico non indifferente, che inoltre dimostra come la “Democracy Promotion” sia una costante del pensiero e della retorica del presidente americano (qui usata implicitamente per differenziarsi dal rivale cinese).

Poi ha aggiunto un altro passaggio che conferma quanto finora raccontato sul suo modo di vedere l’azione politica internazionale: il confronto con la Cina c’è, ha sottolineato, ma “non lo farò nel modo in cui l’ha fatto Trump. Noi avremo sempre il focus sulle regole internazionali”.

Questo significa innanzitutto distinguersi dal predecessore – aspetto di cui sente necessità, almeno nella forma. E poi rafforzare quel “Diplomacy is back” che ha già abbinato al suo motto “America is back“: diplomazia che rappresenta la fusione perfetta di forma e sostanza, regole e condivisione delle iniziative, protocolli e procedimenti che però non cambiano l’obiettivo. Il contenimento della Cina.

Il secondo argomento riguarda l’Iran – finora non menzionato direttamente dal presidente, ma su cui il suo team di politica estera è al lavoro da tempo. Alla domanda “gli Stati Uniti sono disposti a sollevare le sanzioni per far rientrare l’Iran nel rispetto dell’accordo nucleare [Jcpoa]?”, la risposta è stata secca: “No”. A quel punto O’Donnell ha aggiunto: “Dovranno prima sospendere l’arricchimento”, e Biden ha annuito.

Ossia: gli Stati Uniti, davanti al meccanismo di violazione avviato dalla Repubblica islamica per stressare il dossier, non faranno un primo passo. Questo significa che Washington resterà ferma sul mantenimento dell’intera panoplia sanzionatoria riattivata dall’amministrazione Trump nell’ambito della strategia della “massima pressione”.

Almeno per adesso: perché l’affermazione potrebbe trattarsi di una questione narrativa, utile sia per evitare grattacapi dal fronte repubblicano (e in parte anche democratico) interno, sia per mandare messaggi a Teheran – che ha già reagito con altrettanto spin narrativo: la Guida suprema Ali Khamenei ha twittato “l’Era post-Usa è iniziata”.

E così Biden gela la Cina e l'Iran prima del Super Bowl

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