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Perché Pechino ha stretto la morsa liberticida su Hong Kong? Quale interesse muove il Partito/Stato in questo tentativo – che Formiche.net racconta con costanza da anni – di bruciare i termini dell’handover e avviluppare il Porto Profumato? Come mai il governo cinese si espone così apertamente ordinando arresti contro personaggi pubblici e simbolici come l’attivista politico Joshua Wong o il magnate delle telecomunicazioni Jimmy Lai? Dopo questa enorme esposizione, Hong Kong può ancora essere salvata, come detto dall’ex presidente del Partito democratico locale, Emly Lau in un’intervista curata su queste colonne da Francesco Bechis?

Si tratta di domande complesse che toccano l’intimo della strategia cinese. Una grande potenza – come il segretario del Partito Xi Jinping progetta la sua Cina – non può permettersi falle interne. E Hong Kong è invece una di queste, aperta e da tappare il prima possibile, per la sua importanza come snodo commerciale e finanziario internazionale, per la sua esposizione. L’amministrazione speciale – conferita alla provincia dopo la restituzione inglese – non può diventare uno spazio intellettuale e politico, di pensiero e poi sociale, per ambizioni: la democrazia, appunto, una forma di indipendenza, non è concepibile dal Partito comunista cinese. Consapevole che invece il complesso “un paese, due sistemi” rischiava derive e vulnerabilità, Pechino ha scelto di spingere sulla cinesizzazione.

Dietro ci sono anche ragioni tecniche. Hong Kong è il pivot della strategia che prende il nome di Belt and Road Initiative. L’infrastruttura geopolitica con cui la Cina ha inizialmente cercato l’abbraccio all’Europa e ora si sta trasformando in un allaccio totale, comprendendo l’Africa e l’Indo-Pacifico nelle rotte delle nuove vie della seta. Hong Kong è il fulcro della Greater Bay Area, inoltre, quella che in un futuro prossimo sarà la più grande area di sviluppo tecnologico nel mondo e che comprenderà il quadrante che va da Porto Profumato a Macao e la provincia cinese di Guangdong (con le città di Guangzhou, Shenzhen, Zhuhai, Zhongshan, Jiangmen, Zhaoqing, Foshan, Dongguan e Huizhou). Ambito geografico strategico, dunque geopolitico, tra i principali per la Cina.

In questi giorni altri segnali sull’importanza tecnica che Pechino dà a Hong Kong nell’ambito della propria strategia sono diventati pubblici. Dalla chiusura del 5° Belt & Road Forum – organizzato dal Governo della Regione amministrativa speciale HKSAR con l’Hong Kong Trade Development Council (HKTDC) – escono nuovi investimenti a cui la provincia ha fatto da palcoscenico. I campi interessati sono innovazione e tecnologia, trasporto e logistica, energia, risorse naturali e servizi pubblici e sviluppo urbano. Thailandia, India, Arabia Saudita, Kenya, Austria, Francia e Regno Unito i Paesi coinvolti. La Cina incassa investimenti anche grazie al valore geopolitico hongkonghese.

“Finora –  ha dichiarato Carrie Lam, chief executive a cui Pechino ha assegnato la guida dell’HKSAR – la Cina ha già firmato oltre 200 documenti di cooperazione con 138 paesi e 31 organizzazioni internazionali. La Bri è sinonimo di collaborazione e partnership. Per Hong Kong, data la nostra posizione e i nostri crescenti legami economici con i paesi dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico (Asean, ndr), le zone di cooperazione economica e commerciale nella regione offriranno ampie opportunità alle imprese di Hong Kong e ai loro partner”. “Hong Kong è la piattaforma ideale per trasformare i progetti Belt & Road in valide opportunità commerciali, ed è stato qui nel 2016 che è stato concepito il Belt and Road Summit. Crescendo insieme alla Belt and Road Initiative, il vertice è ora il principale evento di affari internazionali per trovare partner, raccogliere fondi e conoscere nuovi sviluppi e opportunità di investimento sulla Belt and Road”, aggiunge nella sua nota il presidente dell’HKTDC.

Dalla Cina, le dichiarazioni (dunque la propaganda, dunque la linea del Partito/Stato) ruotano su tre elementi: primo, il valore ancora attivo dell’investimento Bri, su cui pesa la pandemia ma dal quale Pechino non può tirarsi indietro e sente la necessità di un rilancio; secondo, l’importanza di Hong Kong nel progetto, che spiega la volontà di non concedere un centimetro sulle questioni interne; terzo, il Regional Comprehensive Economic Partnership (Recp), l’accordo di libero scambio regionale firmato a metà novembre. Hong Kong nel mezzo, fisico-geografico, del grande piano cinese che va verso Ovest (la Bri) e di quello che guarda a Est (il Rcep). Evidente che mentre Pechino mostra i propri interessi, i rivali (leggasi gli Stati Uniti) cercano di usarli come vulnerabilità.

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