Skip to main content

Richiamato in fretta e furia da Parigi per salvare quello stesso partito che nel febbraio 2014 lo aveva sfiduciato, giudicandolo un primo ministro troppo timido e troppo poco energico per riuscire a stare al passo con i ritmi incalzanti del renzismo arrembante.

Sette anni dopo Enrico Letta si prende la sua rivincita personale, acclamato come “l’uomo della provvidenza”, l’unico in grado di curare il Partito Democratico dal virus del correntismo che per l’ennesima volta ne mette a repentaglio l’esistenza.

806 voti favorevoli, 2 contrari e 4 astenuti: questi sono i numeri con i quali l’assemblea PD consegna al professeur Letta le chiavi del partito, aprendo una stagione di pacificazione (perlomeno apparente). Numeri che però tradiscono una unanimità di facciata assai meno concreta di quanto possa apparire.

Ad ogni modo l’ex premier torna nell’agone, cercando di darsi un profilo del tutto nuovo, forte dell’esperienza di direttore della Scuola di Affari Internazionali di Sciences Po, l’ateneo francese che da sempre forgia l’élite nazionale.

Il Letta di oggi appare infatti diverso da quello di sette anni fa: meno politico e più tecnico, più inserito nel contesto europeo di “quelli che contano”. Ed anche il suo discorso riflette questa metamorfosi, nel tentativo di assestare uno scossone ad un partito ombelicale, impegnato a disputare molto di poltrone mentre in quasi tutta Italia si abbassano nuovamente le serrande.

Un discorso ecumenico, quello di Letta, che cerca di tenere insieme tutte le anime dei Dem a partire da un potpourri di riferimenti e citazioni: Papa Francesco, Berlinguer, Prodi, Andreatta, Delors e Don Mazzolari. E ancora: Sartre, Pirandello e Manzoni. Ma non per questo un discorso neutro, perché in fondo ha comunque marcato un territorio dichiarando apertamente la condizione di alternativa all’euro forze di destra.

Spostiamoci ora da Enrico Letta al partito che sta per guidare. Ci aiuta il lavoro Swg, capace di spiegarci che gli elettori Pd appoggiano in larga maggioranza il suo approdo alla segreteria.

Ma al netto del largo attestato di stima, l’arrivo di Letta basterà per guarire definitivamente il Pd dai suoi mali endemici?

Il compito appare più che mai arduo. I dissidi che attraversano il partito restano infatti platealmente sotto gli occhi dell’elettorato. Ben il 75% dei sostenitori Dem afferma che le dimissioni di Nicola Zingaretti rappresentano il segno di una spaccatura profonda nel partito, dilaniato dalle logiche correntizie.

Ed anche Arturo Parisi, fondatore dell’Ulivo nel 1995 insieme a Romano Prodi, in un’intervista al Messaggero mette in guardia Letta “dall’unanimismo di facciata” che più volte ha caratterizzato il campo del centrosinistra. Il pericolo, sostiene Parisi, è quello di rinunciare ipocritamente ad un confronto alla luce del sole per poi ritrovarsi a regolare i conti nel “buio del voto segreto”.

Il ritorno di Enrico Letta rischia dunque di non essere sufficiente per cancellare le faide di lungo corso che attraversano il partito e, allo stato attuale, la litigiosità resta il problema più grande avvertito da oltre la metà dei suoi elettori (54%).

In particolare, sono le alleanze a rappresentare il vero pomo della discordia all’interno del Partito Democratico. Un nodo che Letta si è ben guardato da sciogliere, evitando di accendere la miccia del potenziale conflitto.

L’ex premier non ha affondato il colpo, pur evocando un composito quanto improbabile fronte anti-sovranista. Il campo allargato tracciato da Letta dovrebbe comprendere personalità molto diverse tra loro: Speranza, Bonino, Calenda, Renzi, Bonelli e Fratoianni, senza però sottrarsi al dialogo con i Cinque Stelle (guidati da Conte). Un’ipotesi non semplice da attuare visti i veti incrociati e i veleni che intercorrono tra questi leader.

È quindi evidente che un’idea chiara sull’identità del Pd ancora non c’è (e nemmeno sarebbe giusto pretenderla da Letta). L’unica certezza, per adesso, è che il partito entra in una fase nuova archiviando definitivamente la linea Zingaretti-Bettini, quella che vedeva in Conte l’interprete primario di un nuovo centrosinistra a trazione giallorossa. Un’ipotesi che oggi appare del tutto naufragata per tre ragioni essenziali.

In primis, perché è nato l’esecutivo Draghi su cui Letta intende fin da subito mettere il cappello (“il governo di Mario Draghi è il nostro governo. È la Lega che deve spiegare perché lo appoggia, non noi” ha detto l’ex premier).

In secondo luogo, poiché Giuseppe Conte oggi non è più una figura super partes capace di incarnare il punto di equilibrio di una ipotetica alleanza, visto che si appresta ad assumere le redini del M5S diventandone a tutti gli effetti il nuovo capo politico (su espressa volontà di Beppe Grillo).

Infine, perché Enrico Letta è tutt’altra cosa rispetto a Nicola Zingaretti: il primo è figlio della sinistra democristiana, il secondo è invece espressione della “ditta” erede del Partito Comunista Italiano. Due culture politiche che l’Ulivo prima e il Pd poi hanno tentato di fondere ma che ancora oggi non riescono a trovare una sintesi compiuta.

Letta sarà quindi presto chiamato ad indicare una direzione chiara, altrimenti il tentativo di accontentare un po’ tutti per non scontentare nessuno finirà per mandare il Pd a sbattere di nuovo contro un muro.

Letta c'è! Ma sarà dura... Il barometro di Arditti

Al netto del largo attestato di stima, l’arrivo di Letta basterà per guarire definitivamente il Pd dai suoi mali endemici? Il compito appare più che mai arduo. I dissidi che attraversano il partito restano infatti platealmente sotto gli occhi dell’elettorato. L’analisi di Roberto Arditti con i numeri di Swg

Traballa (ancora) l'asse franco-tedesco sulla Difesa. E intanto l'Italia...

Nel giorno della visita a Berlino del ministro Lorenzo Guerini, la stampa d’oltralpe elenca le difficoltà riscontrate dall’asse franco-tedesco sulla Difesa, oltre il caccia di sesta generazione e il carro armato del futuro. Alla base, divergenze sul concetto di autonomia strategia dell’Europa. E si aprono spazi per l’Italia

Söder, Laschet, Weber. Il dopo-Merkel e lo scossone elettorale

Di Angela Casne

L’uscita di Angela Merkel dalla scena politica tedesca sta creando non pochi scossoni. Dopo il calo alle elezioni regionali, nella Cdu si apre il tema della candidatura a cancelliere per le elezioni nazionali. L’ipotesi di ritorno a casa di Weber è al momento complicata: è il candidato naturale a prendere il posto di Sassoli a gennaio 2022

Libia, Haftar e tensioni interne complicano l’avvio di Dabaida

Il processo di stabilizzazione che porterà la Libia verso le elezioni di dicembre è ufficialmente partito con i giuramenti della nuova autorità esecutiva. Restano però fattori di tensione, il primo di tutti collegato alle volontà del signore della guerra dell’Est, Khalifa Haftar. E poi il ruolo del premier e il bilancio del Paese

Cingolani, Garavaglia e Carfagna affrontano il Recovery Plan. L'agenda di oggi

Oltre agli interrogativi su Astrazeneca, oggi continuano gli appuntamenti coi ministri e le loro linee programmatiche. Focus sul Mite, il ministero della transizione ecologica, con il ministro Cingolani che incontra a Montecitorio il presidente della Camera Fico

Il Pnrr dovrà ripristinare le strutture tecniche della Pa. Altrimenti...

Il governo italiano ha mandato l’11 marzo scorso alla Commissione europea un documento di 487 pagine, cioè le Schede a supporto del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Ma in Italia i punti deboli per realizzare i progetti sono le strutture tecnico-ingegneristiche che dovranno poi realizzare i progetti d’investimento. Il commento di Giuseppe Pennisi

Le Zes in stand-by e il futuro del Recovery Plan. L'analisi di Cianciotta

L’Italia torni ad essere il naturale gatekeeper politico-militare, culturale, logistico ed economico del Mediterraneo, altrimenti deve rassegnarsi ad essere una bandierina nella nuova geopolitica della logistica integrata. Il commento di Stefano Cianciotta, presidente Osservatorio Nazionale sulle Infrastrutture di Confassociazioni e Abruzzo Sviluppo Spa

Next Generation UE e Recovery plan: innovazione e startup al centro dell’agenda digitale

Nel contesto socio-economico italiano, diventa sempre più forte la necessità di un confronto aperto con le istituzioni, la società civile e la comunità europea su come spendere i 209 miliardi messi a disposizione dell’Italia dal Next Generation Eu, il piano Ue di rilancio da 750 miliardi, ma anche dal bilancio europeo 2021-2027 senza dimenticare Mes, Bei e Sure. Un percorso…

La Cina spegne Signal, chat rifugio dei dissidenti

Da ieri in Cina non funziona più Signal, l’app che sfida i regimi, nata grazie agli investimenti del governo statunitense

Tutti i Cocchi del quartierino

TUTTI I COCCHI DEL QUARTIERINO Nel 2020, in Italia, le famiglie in povertà assoluta sono oltre 2 milioni (il 7,7% del totale, da 6,4% del 2019: 335 mila famiglie in più) per un numero complessivo di individui pari a circa 5,6 milioni (9,4% da 7,7%: oltre 1milione in più rispetto all’anno precedente). L’aumento della povertà assoluta si inquadra nel contesto…

×

Iscriviti alla newsletter