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Dopo il declassamento del rating della Tunisia a B3 con outlook negativo da parte di Moody’s si sono moltiplicati sulla stampa locale i commenti, le analisi e le accuse reciproche dei partiti circa le responsabilità riguardo a questo stato di cose. Sul banco degli imputati c’è posto per tutti, partiti di governo e di opposizione, sindacati e associazioni di categoria, classe dirigente e classe operaia.

Intanto parlamento, governo e presidenza della Repubblica, da mesi impegnati in un braccio di ferro a tre che sta paralizzando il Paese, sembrano non voler intender ragione e continuano a sfidarsi l’un l’altro mentre il Paese continua a precipitare e i bailleurs des fonds, Fmi in testa, cominciano a spazientirsi.

Questa situazione appare tuttavia paradossale e per qualche verso incomprensibile se considerata nella prospettiva a breve, che vede la Tunisia candidata ad essere la piattaforma logistica della ricostruzione in Libia, un affare di dimensioni gigantesche destinato a garantire almeno un decennio di attività intensa in ogni campo.

La Libia, infatti, con il governo nazionale che uscirà dalle urne entro la fine dell’anno, tornerà a disporre pienamente, attraverso la Noc (National Oil Corporation), dei proventi finanziari derivanti dall’estrazione a pieno regime di un petrolio della miglior qualità, largamente sufficienti alla copertura totale dei costi della ricostruzione.

Ricostruzione che vedrà coinvolte decine di grandi imprese di ogni settore, dai grandi lavori edili all’alta tecnologia, fino all’industria del mobile e arredamento.
E la Tunisia in quanto base logistica dove tutte le imprese coinvolte troveranno le condizioni ideali per basarsi sia dal punto di vista organizzativo, sia da quello dei servizi finanziari sarà la prima a beneficiare di questa sua posizione, cosa che non è certo sfuggita agli osservatori nazionali ed internazionali.

Certamente non è sfuggita alla Germania, che da otto anni sta finanziando in Tunisia, per il tramite della Gemeinschaft fuer internationale Zusammenarbeit (la Cooperazione internazionale allo sviluppo tedesca), la formazione dei futuri quadri della classe dirigente libica presso il Cfad (Centre de formation et d’appui à la décentralistion) e l’Ena (Ecole Nationale d’Administration) i due centri di formazione statali che fanno capo al ministero degli interni tunisino.
Una iniziativa, quella della cooperazione internazionale tedesca, che è stimata per un importo non inferiore ai sei miliardi di euro elargiti da otto anni sino ad oggi.

In questa partita, che rappresenta uno dei maggiori business del secolo, l’Italia potrebbe giocare un ruolo formidabile se solo smettesse per un istante di guardare alla Tunisia esclusivamente come al Paese dei migranti clandestini e cominciasse da subito un lavoro di cooperazione per realizzare le strutture necessarie alla piattaforma logistica per la ricostruzione in Libia.

Un compito che il governo italiano potrebbe (e dovrebbe) assumere attraverso gli uffici del ministero degli esteri e della Cassa depositi e prestiti, alla quale fa capo la nostra cooperazione italiana allo sviluppo. La presenza sul territorio tunisino di circa novecento imprese a capitale italiano rappresenta un network virtuale all’interno del quale si muovono decine di imprese di eccellenza in vari settori manifatturieri che hanno maturato un’esperienza preziosa nella gestione del personale e nel dialogo con l’amministrazione pubblica che può essere valorizzata al meglio se collocata nella prospettiva di una più estesa e più efficace strategia di cooperazione. È un vero peccato che i rapporti fra Italia e Tunisia siano percepiti e simbolicamente rappresentati quasi esclusivamente da quegli undici milioni di euro destinati alla sorveglianza delle coste e al respingimento dei migranti clandestini sbandierati come iniziativa virtuosa del nostro governo. Un vero peccato, certamente, ma forse non del tutto dovuto, per dirla con Monod, a Le Hasard e la Nécessité.

Una iniziativa italiana in Tunisia nella prospettiva offerta dallo scenario della ricostruzione libica potrebbe infatti rivelarsi non meno catastrofica per la concorrenza intraeuropea di quanto non sia provvidenziale per le imprese italiane.
Da una parte la vicinanza geografica dell’Italia, fino a quando rimarrà confinata nell’ambito della migrazione clandestina, non rappresenterà un ostacolo, mentre dall’altra l’indebolimento della fragile democrazia tunisina produrrà l’effetto di una svalutazione che renderà più redditizio l’investimento di chi si prepara a spartirsi la torta libica.

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