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La ricerca del costante punto equilibrio tra salvezza e consenso – un po’ come accade tra domanda ed offerta – sta inevitabilmente triturando molti dei principi che formano l’architrave della nostra società.

La sicurezza, il diritto alla salute, quello alla libertà, divengono – quindi – concetti elastici, capaci di esser contratti o estesi, come una fisarmonica in funzione delle esigenze del caso.

Il governo si trova da mesi nella scomodissima posizione di dover scegliere e, si sa, solo chi sceglie, corre il rischio di sbagliare.

Solo chi tira un calcio di rigore può sbagliarlo, anche se decisivo; ed è facilissimo, dalla panchina, dalla tribuna, persino dai divani commentare come quel rigore dovesse esser tirato – dopo l’errore – ma solo chi si avvicina al dischetto con la palla in mano ha il diritto di parola perché solo quel giocatore si è assunto (o è stato investito di) quella responsabilità.

È così, allora, che a suon di Dpcm estesi notte tempo, che probabilmente gridano giustizia alla Carta Costituzionale, il governo ha scelto quale potesse essere la miglior soluzione per la nostra salute.

Quelle scelte hanno privilegiato alcuni ambiti della nostra esistenza, la salute su tutti, e probabilmente ne hanno sacrificati altri.

Erano i primi giorni di marzo e la chiusura di ogni attività economica nel Paese era divenuta motivo di grandissimo consenso politico e nell’opinione pubblica; i terrazzi iniziavano a colorarsi con bandiere tricolore e drappi raffiguranti arcobaleni e, al calar del giorno, i più sfacciati (e bada bene che non ho detto intonati) si lanciavano cantando canzoni nazional popolari o si liberavano in lunghi applausi.

Nei giorni prossimi alla pasqua quel consenso dato dalla scelta di chiudere iniziava a calare; serviva un cambio di passo… la Cig non arrivava sui conti correnti (e su alcuni deve ancora arrivare), l’entusiasmo per la convivenza tra mariti e mogli h24 iniziava a mostrare le prime crepe; avevamo tutti già cucinato pane, pizza e decine di tiramisù… l’estate era ormai vicina e con essa la consapevolezza che i nostri figli non sarebbero mai tornati in classe prima di settembre.

Quel cambio di passo è stato rappresentato da una graduale riapertura delle attività produttive, culminata nella tanto acclamata riapertura di parrucchieri e barbieri che ha fatto sparire in un solo giorno, milioni di ricrescite e basette alla lettele Tony.

La vita tornava quasi alla normalità; la mascherina diveniva un accessorio al pari di orologio e borsetta e, tutto sommato, si poteva finalmente parlare di vacanze.

L’estate sta finendo, cantavano i Righeira, e noi con l’arrivo dell’autunno abbiamo ricominciato a fare i conti con il male. I virologi che dicevano che sarebbe tornato, avevano tristemente ragione. Si additano i colpevoli della reviviscenza del virus; la movida, i giovani, i negazionismi, quelli stanchi… insomma chiunque.

L’Europa torna a tremare ma cambia l’approccio; adesso si devono fare i conti con economie già messe in ginocchio da oltre 6 mesi di fortissima recessione, compresa la nostra.

Ecco allora che il governo, si vede costretto a riprendere tra le mani quel pesantissimo pallone, deve posizionarlo sul dischetto, e deve accingersi a tirare un altro calcio di rigore.

Non è facile avere la forza di chiudere ancora. Non è facile privilegiare la salute all’economia e questo Conte lo ha chiarito in diversi passaggi della sua ultima tanto attesa conferenza stampa. Accontentare tutti è impossibile.

La nostra costituzione parla di sicurezza in 10 diversi passaggi, 5 dei quali all’interno della Parte I (Diritti e doveri dei cittadini). La sicurezza è un diritto, la sicurezza è un dovere.

La politica è chiamata ad applicare la Carta costituzionale e ad agire nel rispetto della stessa provando a coniugare e contemperare – questa volta – interessi tra loro apparentemente inconciliabili; salute e economia su tutti.

L’Italia torna a stringersi davanti alla televisione, non per la partita della nazionale, ma per una nuova conferenza stampa che annuncia nuovi provvedimenti a tutela della nazione.

Eppure quelle scelte raccontate da dietro una mascherina e attese oltre un’ora, per quanto complesse, hanno proprio il sapore di un calcio di rigore, uno di quelli decisivi.

Ecco, allora , che a cena fuori potremo ancora andarci ma, poi, tutti a casa come Cenerentola, a mezzanotte.

I nostri figli potranno allenarsi per diventare piccoli campioni ma non potranno fare competizioni, neanche amichevoli, per dimostrare al mondo e a loro stessi il loro valore.

In palestra si, in palestra no… in palestra la settimana prossima …. un mantra che per molti di noi si ripete da una vita intera.

La necessità di declinare la salute e il tessuto economico, ormai sfibrato, è attuale, viva, presente, ineludibile.

Migliaia di negozi non hanno mai riaperto da maggio, altri faticano, altri ancora dovevano aprire e sono rimasti progetti.

Famiglie, individui, professionisti, decine di categorie colpite e messe al tappeto nei mesi scorsi, proprio ora stavano iniziando a rialzare la testa, nella speranza che si potesse tornare a sopravvivere.

Eppure aumentano i tamponi, aumentano i casi positivi, aumentano i ricoveri negli ospedali e nelle terapie intensive e, addirittura, quel male prevalentemente lombardo che colpiva le persone non più giovani, è diventato sempre più un problema nazionale di ogni generazione.

Se vogliamo, stiamo messi peggio di prima.

Attendiamo i prossimi giorni nella speranza che questi provvedimenti apparentemente di compromesso, invece, diano i risultati sperati e non servano misure più dure che, come detto, oltre a continuare a strattonare un po’ la Costituzione, avrebbero probabilmente un colpo di grazia a buona parte del paese, quella parte che fino ad oggi faticosamente si è salvata.

Le scelte del governo, tra salvezza e consenso. Il commento dell'avv. Arcuri

Di Gabriele Arcuri

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