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Il terzo Rapporto Federproprietà-Censis conferma un trend di lungo periodo già richiamato nelle precedenti edizioni: un’erosione nel tempo del valore economico della casa che mina uno dei suoi requisiti costitutivi di componente essenziale dei patrimoni familiari trasferiti da una generazione all’altra.

Due grandi temi hanno caratterizzato l’anno 2024: l’approvazione della Legge n.105/2024 detta “Salva Casa” e della Direttiva Epbd per l’efficientamento energetico edilizio della Ue.
Aggiungerei anche l’introduzione dell’assicurazione per rischi catastrofali per le imprese che auspichiamo si possa estendere anche alla abitazioni private, ed a questo obiettivo dovrà tendere un’associazione come Federproprietà.

Per quanto riguarda il Provvedimento “Salva Case” bisogna dire che non era iniziato sotto buoni auspici l’iter legislativo. In corso d’opera e nei vari passaggi parlamentari tutte le forze di maggioranza si sono rese conto con grande senso di responsabilità che il provvedimento riguarderà l’80% degli immobili nel tipo di irregolarità sanabili (cfr. i dati del Consiglio nazionale degli ingegneri), in quanto in Italia abbiamo un patrimonio molto vecchio e l’attuale situazione ingessa, oltretutto, il mercato proprio per l’impossibilità della regolarizzazione, di sbloccare circa 4 milioni di pratiche, realizzando un vecchio sogno di Silvio Berlusconi, che parlava saggiamente di “abusivismo di necessità” per il quale prima o poi bisognava prevedere un perdono con la possibilità anche di fare cassa nell’interesse dello Stato e dei comuni. Per la verità il nuovo testo approvato definitivamente dal Senato della Repubblica è diventato qualcosa di molto più complesso di quello che, a fine maggio, era stato presentato dal ministro delle Infrastrutture. È stato praticamente in fase di conversione creato un testo nuovo, all’interno del quale, tra le molte novità, è entrata una sanatoria molto più larga, insieme a nuovi criteri di abitabilità. In ogni caso è evidente a chiunque che l’intento è quello di alleggerire il carico burocratico per i cittadini. Le strade per sanare irregolarità di vario tipo sono diventate sette, chieste da sempre da parte di imprese e professionisti.

Quello che appare politicamente condivisibile è la svolta culturale che sarà realizzata perché il testo del “Salva casa” muta la stessa percezione degli abusi edilizi, assicurando la commerciabilità di tanti immobili fino ad ora pressoché invendibili.

Di notevole importanza antiburocratica è la previsione del silenzio assenso; in caso di permesso a costruire in sanatoria la Pa avrà 45 giorni per rispondere, mentre in caso di Scia in sanatoria avrà tempo 30 giorni.

Per questo il giudizio che viene da più parti è complessivamente positivo a cominciare da vari ordini professionali.

Le opposizioni dal canto loro parlano invece di vero e proprio condono.

La verità è che con le nuove regole, ed in particolare proprio con quelle criticate dall’opposizione, il mercato riceverà un grande impulso.

Il Parlamento in questa occasione ha lavorato bene perché ha saputo varare un provvedimento cosi importante nel giro di soli due mesi e pochissimi giorni.
Altro tema è quello della “Direttiva Green” che non è stata votata dall’Italia e dall’Ungheria (contrarie), mentre Repubblica Ceca, Croazia, Polonia, Slovacchia e Svezia si sono astenute. Sarebbe bastato che uno solo dei Paesi, che hanno le nostre stesse problematiche e le nostre stesse esigenze strutturali avessero tenuto la posizione (Spagna, Francia e Grecia, ad esempio) perché la direttiva venisse bocciata.

È vero che si tratta di un testo più equilibrato rispetto al progetto del 2021, che divideva le case in classi energetiche e prevedeva sanzioni, ma questo ultimo votato è un provvedimento che rappresenta sempre un grave danno soprattutto per i piccoli proprietari soprattutto.

Con questo provvedimento viene richiesto un taglio del 16% dei consumi medi entro il 2030, del 20-22% entro il 2035; inoltre bisognerà non solo costruire edifici nuovi secondo le nuove norme, ma dovrà essere ristrutturato il 43% del patrimonio edilizio più energivoro. Si parla cioè di circa 5 milioni di edifici.

Questo comporta che, per raggiungere i target fissati dall’Unione europea, bisognerà correre tanto e reperire tante risorse che al momento la direttiva non stanzia.

Questa ultima versione della direttiva “case green” per fortuna non prevede specifiche sanzioni, chiedendo di provvedervi ai legislatori nazionali. Ed allora ecco che nel nostro Paese entra a gamba tesa, per rendere più pesante ed insostenibile la situazione dei proprietari di case, la solita Banca d’Italia, che già si era distinta in un’audizione alla Camera dei Deputati nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla Riforma fiscale quando sostenne che l’assenza di tasse sulla prima casa era un’anomalia tutta italiana ed avallò e sostenne quello che chiedeva Bruxelles e cioè l’imposizione di nuove patrimoniali.

Anche ora la Banca d’Italia ci riprova. Ed in un dossier pubblicato nella serie “Questioni di economia e finanza” avanza alcune ipotesi di intervento legislativo relative al disegno di legge che il governo dovrà predisporre per recepire la direttiva, tra cui, detrazioni, crediti d’imposta, sostegno all’accesso al credito, consigliando “una compartecipazione al costo da parte del beneficiario per limitare rischi di azzardo morale ed essere modulata in relazione al risparmio energetico atteso, al costo dell’intervento e alle caratteristiche reddituali e patrimoniali dei destinatari”. Ma la botta arriva quando propone: “In caso di abitazioni in affitto private, potrebbe essere valutata l’ipotesi di concedere incentivi fiscali rafforzati al raggiungimento di determinati livelli di EE, oppure di subordinare la locazione al rispetto di standard minimi, come accade in altri Paesi”. Contro tale imposizione, che era stata avanzata nel 2021, si erano levate proteste talmente vibrate che la Commissione europea aveva fatto marcia indietro. Ed ora invece ce la ritroviamo come proposta di un’istituzione italiana.

Per fortuna fin d’ora le forze di maggioranza di centrodestra che sono al governo nel nostro Paese, FdI, Forza Italia e Lega puntano ad una pesante revisione del provvedimento verde, perché la direttiva non tiene conto di tutte le esigenze e delle caratteristiche del nostro Paese, anche se è migliorata molto. E sopratutto ci fanno ben sperare le dichiarazioni del nostro premier Giorgia Meloni che giudica il testo approvato a Bruxelles: “Una direttiva pensata malissimo, senza tenere conto di alcuna specificità. È come se efficientare una casa di legno nella tundra finlandese fosse la stessa cosa di efficientare una casa in pietra in un borgo della Sicilia. Solamente dei burocrati chiusi in un palazzo di vetro”… “possono immaginare una cosa del genere.

Per tutto questo speriamo dunque che il nuovo Parlamento europeo tenga conto delle peculiarità della storia e della identità dei singoli popoli dell’Unione, anche perché l’84% degli italiani teme che gli interventi di efficientamento energetico possano risultare molto costosi.

Infine dicevo che sarebbe opportuno mettere in agenda anche la questione “rischi catastrofali”.
Avevamo salutato favorevolmente l’annuncio del varo del Decreto attuativo da parte dei ministeri competenti (Economia e Imprese) dell’obbligo di assicurazione degli immobili delle imprese sulle catastrofi naturali, che scatterà il 1° gennaio prossimo.

Purtroppo invece l’obbligo per tutte le imprese è slittato di 3 mesi.

Il testo del Dm, migliorato rispetto alle bozze circolate nei mesi scorsi, è il risultato di un lungo e complesso lavoro per rendere sostenibile da parte delle aziende assicuratrici l’obbligo a contrarre. La legge infatti prevede la compartecipazione pubblico-privato, col sostegno riassicurativo che la Sace è autorizzata a concedere, sino a 5 miliardi di euro, stipulando con gli assicuratori una convenzione da approvare con l’entrata in vigore del Dm. In effetti il Decreto ministeriale potrà rappresentare un vero e proprio strumento di pedagogia sociale, prevedendo la proporzionalità alla diversa entità di rischio. Inoltre è importante anche la previsione secondo la quale le assicurazioni, che dovranno offrire la copertura, sono solo quelle già attive nel settore (a livello singolo o di gruppo) e già stipulino polizze a copertura dei medesimi danni oggetto di copertura obbligatoria. Tutte le altre compagnie potranno assicurare questo tipo di rischi, ma non saranno obbligate a farlo. L’obbligo a contrarre oltretutto sarà commisurato all’effettiva capacità di solvibilità di ogni singola impresa.
Con questo decreto si inizierà a dare risposte ad una situazione che ci vede in posizioni di retroguardia ove si pensi che solo il 6% delle 35,3 milioni di unità abitative esistenti ha infatti una copertura assicurativa contro questi eventi, nonostante l’80% delle abitazioni civili sia esposto a un livello di rischio medio- alto dal punto di vista sismico e di dissesto idrogeologico. Per quanto riguarda le aziende, solo il 5% ha una copertura assicurativa. Sul complesso di oltre 4,5 milioni di aziende italiane, è infatti assicurato contro le catastrofi il 4% delle imprese micro, il 19% di quelle piccole, il 72% delle medie e il 97% delle grandi.

Non si comprendono perciò le perplessità di chi trova non solo problematico, ma addirittura negativa questa prospettiva, considerando il costo della polizza anti catastrofi un ulteriore peso contributivo per imprese e qualora venisse allargata ai privati per le singole abitazioni, anche per le famiglie. Come se tutti i costi degli indennizzi derivati dalle catastrofi naturali non finissero poi per gravare su tutti i contribuenti, tramite la fiscalità generale. Evidentemente sono arrivate a segno le resistenze di Confindustria, che fin dall’inizio, tramite il suo nuovo presidente Orsini, aveva fatto sentire la sua voce al governo e al Parlamento che… evidentemente sono state ascoltate e recepite.

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