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Dopo quella sulla sicurezza nazionale informatica, la Cina ha deciso di emanare altre due leggi: una sul controllo delle esportazioni e una sulla protezione dei dati personali. Questo trittico rappresenta, paradossalmente, l’accettazione della Cina di un modello regolamentare di stampo occidentale e, nello stesso tempo, l’utilizzo di questo modello contro l’Occidente che lo ha creato.

Considerati astrattamente e collettivamente, i principi di diritto espressi dalla Cina sono grandemente coerenti con quelli praticati nelle democrazie liberali.

LA LEGGE SULLA SICUREZZA NAZIONALE 

Quanto alla sicurezza informatica nazionale è dichiarata la sovranità cinese sulla rete “locale” e l’obbligo in capo a chiunque (incluse le aziende straniere incorporate secondo il diritto cinese) di cooperazione con le autorità statali e con quelle giudiziarie in particolare. Analogamente a quanto auspica l’Unione Europea la legge cinese impone inoltre la conservazione dei dati all’interno dei confini nazionali. Inoltre, rispecchiando la “svolta etica” della tecnica di normazione occidentale, l’articolo 9 della legge impone agli operatori di rete di conformarsi alle norme sociali, di seguire un’etica commerciale e di comportarsi in modo onesto e credibile, accettando il controllo del governo. Nulla di diverso da quanto accade nel vecchio continente (Usa  compresi).

LA LEGGE SUL CONTROLLO DELLE ESPORTAZIONI 

La legge sul controllo delle esportazioni, approvata dal Comitato centrale della Repubblica Popolare Cinese il 17 ottobre 2020, è sostanzialmente la versione orientale del Trattato di Wassenaar che regola l’esportazione di beni, servizi e tecnologie dual-use.

Coerentemente con i principi occidentali, la legge cinese afferma il diritto dello Stato di bloccare o limitare il trasferimento di qualsiasi “oggetto” utilizzabile sia per scopi civili, sia per scopi militari e, in particolare, di quelli utili a incrementare il potenziale militare nell’ambito della progettazione, sviluppo, costruzione e uso di armi di distruzione di massa e dei loro vettori. L’articolo 2 della legge individua i “soggetti passivi”: cittadini, persone giuridiche, “non-corporate organizations”, mentre l’articolo 9 prevede la possibilità di estendere temporaneamente il controllo (e dunque il divieto di esportazione) anche a beni non inclusi nella lista di quelli soggetti a verifica.

Come anche la legge sulla sicurezza nazionale, anche quella sulle esportazioni fa riferimenti ai concetti di interesse e sicurezza nazionali, la cui definizione è altrettanto vaga e indefinita di quella occidentale.

LA LEGGE SULLA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI

La bozza di legge cinese sulla protezione dei dati personali stabilisce innanzi tutto, in perfetta simmetria con il Reg. UE 679/16, la propria applicabilità anche al di fuori dei confini nazionali.

A differenza della normativa comunitaria, invece, non sono consentiti i trattamenti basati sul “legittimo interesse” del titolare (categoria, peraltro, di problematica applicazione anche in Europa). È, invece, ampliato l’obbligo di localizzazione dei dati, ed è previsto il controllo dell’autorità statale sui trasferimenti di dati all’estero. Anche la struttura degli illeciti e delle sanzioni sono sostanzialmente in linea con quelle europee.

COSA SIGNIFICANO, IN CONCRETO, QUESTE LEGGI

Lette superficialmente, queste tre leggi indurrebbero a pensare che la Cina stia lentamente procedendo verso l’integrazione del proprio sistema normativo con l’infrastruttura europea ed occidentale e in particolare con il principio del rule of law. Un’analisi più approfondita, tuttavia, suggerisce conclusioni diverse.

Innanzi tutto, come già evidenziato bisogna considerare che l’approccio cinese alla regolamentazione è quello di sottoporre la legge alla necessità politica del Partito piuttosto che considerarla come un limite invalicabile persino per il potere costituito. Non rule of law, dunque, ma dunque, ma rule by law.

In secondo luogo, è abbastanza evidente che il legislatore cinese stia utilizzando tecniche di ingegneria normativa del tutto analoghe a quelle occidentali. È vero, come sostiene Jack Wagner in un articolo pubblicato da The Diplomat a proposito dei concetti di interesse e sicurezza nazionali che “i concetti vaghi di sicurezza nazionale e interesse pubblico aumentano la possibilità per il governo di sostenere la necessità di controlli e di ridurre la capacità di un’azienda straniera di contestare una richiesta di accesso ai dati che detiene”. Ma i concetti di sicurezza nazionale e di interesse pubblico non sono altrettanto vaghi negli ordinamenti occidentali? E la “sicurezza nazionale” non è utilizzata anche dagli Usa e dai Paesi europei per giustificare sommariamente scelte politiche e comportamenti operativi?

Infine, con queste tre leggi, e ancora una volta recependo principi largamente imposti da necessità politiche al diritto occidentale, la Cina afferma il proprio diritto-potere di applicare le proprie leggi al di fuori dei propri confini, non diversamente da quanto fa il Regolamento europeo sulla protezione dei dati personali, o di quanto stanno cercando di fare i singoli Paesi con la creazione della “web tax” che, per necessità squisitamente politiche, altera il principio consolidato della territorialità dell’imposta.

CONCLUSIONI 

Per quanto possano sembrare, ad una prima lettura, inaccettabili, le norme emanate dal governo cinese sono perfettamente in linea con l’approccio occidentale. Stabiliscono la sovranità nazionale sulle risorse fisiche e sui dati localizzati in Cina, impongono doveri di cooperazione con le autorità e sono efficaci anche al di fuori dei confini.

In questo modo la Cina ha ritorto contro i Paesi occidentali i loro stessi strumenti normativi, evidentemente utilizzati sul presupposto geopolitico che nessun altro Paese avrebbe potuto compiere una scelta del genere.

Di conseguenza, non solo le aziende straniere che sono basate in Cina, ma anche i soggetti che trattano dati di cittadini cinesi al di fuori dei confini nazionali sono raggiungibili dal braccio esecutivo del governo. Questo implica, dunque, la concreta possibilità per soggetti occidentali di essere coinvolti in contenziosi complessi e difficilmente gestibili, radicati in un sistema che, come detto, non è sottoposto al rule of law.

Questo stato di fatto è l’ennesima dimostrazione di cosa accade quando la legge, da strumento di formalizzazione di accordi politici, diventa essa stessa strumento politico. Se, dunque, la Cina si avvicina all’Occidente ritorcendogli contro i suoi strumenti, l’Occidente si avvicina alla Cina proprio perché sta passando anch’esso dal rule of law al rule by law.

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