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Durante questa fase di pandemia in cui lo spin del governo porge alle masse indicazioni su ristori, regole del Natale, ricorso a fondi europei che sembrano già in cassa, ma sono ancora tutti da verificare, gli occhi di molti osservatori della politica sono puntati sui possibili ministri in pole position per il rimpasto di governo.

Invece, guardando oltre al fuoco dei papabili per un ministero fino a fine legislatura, appare su un orizzonte più lontano ma già chiaramente decifrabile, la più interessante competizione tra i seniores della politica istituzionale che si accreditano come potenziali presidenti della Repubblica.

È una strada lunga da percorrere quella che porta al Quirinale, ed è noto a tutti i presidenziabili che non risulta sufficiente un annoso percorso di vita nelle istituzioni per arrivare alla meta più ambita: serve quel sostegno dell’opinione pubblica, quella convalida dell’immagine pubblica sui mass media, quella percezione diffusa e distribuita presso tutta la popolazione che: “sarebbe davvero un ottimo presidente”.

I presidenziabili sono perfettamente a conoscenza di questa esigenza necessaria a suffragare percorsi di accreditamento presso tutti i vertici delle principali tecnocrazie, nelle rappresentanze sociali ed economiche del paese, presso le redazioni delle grandi testare. Ne consegue un flusso quasi ininterrotto di libri, interventi pubblici in contesti rappresentativi di ambiti e settori dell’economia, del lavoro, della cultura, interviste nei contesti televisivi più generalisti e accessibili al grande pubblico.

I libri di Veltroni, corredati da presentazioni televisive in salotti piuttosto istituzionali e accomodanti, le partecipazioni ai Festival e gli articoli sulla stampa di Prodi, le ospitate in talk show di Rutelli (a sua volta munito di libro in uscita) seguono la strada più tradizionale della sinistra presidenziabile: il ricorso agli strumenti della cultura (dai libri ai festival culturali e sociali, dalle interviste sulla stampa, peraltro spesso prive di una reale motivazione di notiziabilità alle apparizioni televisive) come strumento di accesso alle masse, sostenuto dal desiderio di sollecitare, nel commento della “casalinga di Voghera” che mescola la cena, un “non era poi così male quel Veltroni lì.”

Uno scenario di accesso alle masse che non considera minimamente il ruolo dei media digitali e dei social anche nelle diete mediatiche dell’elettore mediano, che, invece di assistere alle liturgie di Fazio, ha imparato a programmare la visione delle serie su Netflix ed è, tutto al più, in binge watching di alternative molto più finalizzate all’intrattenimento televisivo. Sembra pagare allora la scelta di un presidenziabile come Franceschini, di restare ancora sottotraccia per qualche tempo, lasciando consumare al fuoco lento delle ospitate televisive, i concorrenti del centro-sinistra.

Altrettanto remunerativo appare il senso di responsabilità, più individuale che partitico, di Berlusconi, nel sostenere le sempre più frequenti richieste della maggioranza di governo alle opposizioni. Lo scostamento di bilancio, votato da tutti ma sostenuto con impegno da Berlusconi in prima persona e il possibile sostegno ad un eventuale rimpasto di governo sono le carte che Berlusconi, per mezzo del suo cardinale Mazzarino Gianni Letta, stanno agendo sullo scenario. Con la consapevolezza che la parte pentastellata della maggioranza non sosterrebbe mai una candidatura siffatta (l’antiberlusconismo è l’unico messaggio bandiera non abdicato dal MoVimento), il lavorio per sostenere questa speranza, quasi un sogno berlusconiano è affidato all’asse Letta- Bettini, un patto della crostata in versione 4.0.

Restano da considerare le ipotesi molto significative di una riconferma di Mattarella, scelta più facile per l’intero sistema politico e istituzionale, e quella del Papa straniero. Quest’ultimo potrebbe essere un Mario Draghi, invocato alla guida del Colle più alto in virtù di una eccezionale carriera nelle istituzioni economiche nazionali ed europee, ma ritenuto un outsider rispetto alla politica politicante dei partiti e delle alleanze.

Draghi sarebbe una figura al di sopra di ogni negoziazione tra le parti, in grado di raccogliere una maggioranza elettorale trasversale ed universale, ma con uno spazio di reciproco adattamento molto complesso con il sistema dei partiti (nulla che possa preoccupare chi ha passato otto anni a Francoforte, forse un problema per alcuni esponenti partitici). E chissà che non si ritenga presidenziabile anche l’inquilino di Palazzo Chigi, che prova in ogni sede interna ed internazionale a presentare l’eccezionalità della risposta italiana alla crisi pandemica come un risultato del proprio esecutivo.

Il calo della popolarità di Conte nei recenti sondaggi di novembre potrebbe costituire un problema, ma a questo punto appare sufficientemente chiaro che il futuro del professor Conte non è all’Università di Firenze (con buona pace di chi ha recentemente ipotizzato un suo ritorno a Novoli, per occuparsi della didattica a distanza), ma nei palazzi romani.

E se si deve restare nelle istituzioni, nulla vieta di sognare in grande e attrezzarsi, anche rispetto alla propria maggioranza di governo, di attrezzarsi per ogni possibilità. Quel che emerge con chiarezza, nella diffusa competizione tra i presidenziabili più o meno discosti, è che la scelta del Presidente della Repubblica costituirà uno snodo istituzionale e politico importantissimo in questa difficile fase per il Paese e nella successiva ripresa. Una decisione importantissima cui tutte le forze politiche dovrebbero guardare con senso di responsabilità storica, più che politica.

La lunga marcia verso il Colle e i presidenziabili

Guardando oltre al fuoco dei papabili per un ministero fino a fine legislatura, appare oggi su un orizzonte più lontano ma già chiaramente decifrabile, la competizione tra i seniores della politica istituzionale che si accreditano come potenziali presidenti della Repubblica

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