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La riflessione di Papa Francesco per la 55ma Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali offre molti spunti per comprendere la realtà che stiamo vivendo. I social sono infatti diventati ormai una realtà sociale a tutti gli effetti, uno spazio in cui la società vive e prende forma, ancor più nell’isolamento della pandemia. La tragedia di Palermo, tuttavia, dove una bambina di dieci anni avrebbe perso la vita per partecipare a una challenge sul noto social TikTok, restituisce purtroppo una lezione tragica ma di grande importanza, che cioè non si possono escludere i rischi derivanti dall’utilizzo dei social, e a cui va data una risposta subito.

“Come prima cosa bisognerebbe accertarsi del collegamento tra la vicenda tragica e la presenza della bambina sul social. Ci sono stati casi in passato, come quello del pupazzo Jonathan Galindo e del bambino di Napoli di 11 anni morto suicida, o il caso di Blue Whale che avrebbe portato a una catena di suicidi in Russia, che si sono risolti in un nulla di fatto”, spiega in questa conversazione con Formiche.net Massimiliano Padula, docente di Scienze della comunicazione sociale alla Pontificia Università Lateranense e presidente Copercom, il Coordinamento delle associazioni per la comunicazione. “La seconda questione da affrontare, invece, è legata al criterio con il quale vicende di questo tipo sono trattate, ovvero l’emotività: se questa diventa il criterio di notiziabilità, il lavoro giornalistico perde il suo senso. Vero è che la logica acchiappa-click è inevitabilmente diffusa, ma in queste vicende la logica dell’emotività non dovrebbe essere prioritaria”, commenta Padula.

“Poi c’è un altro aspetto legato agli spazi digitali. Quando succedono queste vicende si dà subito spazio alla demonizzazione, al fatto che è colpa dei social e del web. Si tratta di una retorica e di una narrativa sviluppata negli ultimi anni, quella della concezione del web in chiave patologica. Non a caso, i principali interlocutori nelle scuole, quando si parla della rete, sono psicologi o la Polizia postale. I meccanismi sono quelli della patologizzazione e della criminalizzazione del web. Bisogna invece andare oltre la logica del web e riappropriarsi dei ruoli di genitori, di insegnanti o delle istituzioni, che non possono e non devono delegare le responsabilità a un dispositivo. Altrimenti si rischia di venire meno al proprio ruolo”.

È d’accordo con la reazione del garante della privacy? Come può evolvere la vicenda, si rischia di andare nella direzione di quanto accaduto negli Stati Uniti con Trump – mentre ora si aspetta di capire cosa succederà con Biden – che ha vietato l’uso di Tiktok?

Le regole sono fondamentali, perché il web è territorio infinito e estremamente disponibile, che quindi necessita di una regolamentazione. Ma c’è una differenza con il prendere una decisione di tipo impositivo dopo un singolo caso limite. La regolamentazione è necessaria in tempi ordinari, non dopo un caso limite. Ma sono anche convinto che il web sia un territorio dove la regolamentazione è parzialmente inefficace. Nel momento in cui c’è limite, si lavora per superare il limite. Sul web, a causa dell’estrema disponibilità, iperconnessione, incapacità di controllo, l’efficacia della norma è minimale. Bisogna trovare strade alternative.

Nel suo messaggio il Papa ha detto che San Paolo “si sarebbe certamente servito della posta elettronica e dei messaggi social”. Questo cosa dice alla nostra realtà, e ai cattolici?

Che ognuno di noi è uomo del suo tempo e che le nostre esistenze sono legate allo spirito del tempo. San Paolo avrebbe trovato tempi, spazi, modalità e strumenti migliori per portare la Parola, per evangelizzare. Da un lato c’è necessità contingente, che storicizza l’individuo, per questo è sempre sbagliato agire secondo la logica del “si è sempre fatto così”, ma bisogna posizionarsi e collocarsi nel tempo. L’altro aspetto interessante parte proprio da quel detto che il Papa rispolvera: per essere un buon giornalista “bisogna consumare la suola delle scarpe”. Il Papa coglie nel segno e spalanca la storia moderna del giornalismo, con l’immagine del vecchio cronista che con il suo taccuino andava nella notizia. A un certo punto però è come se il giornalismo si sia imborghesito, ed è diventato di redazione, guidato dalla logica del web, della scrivania, delle agenzie e che così abbia perso il suo senso originario. La grande opportunità che dà il web è di ri-uscire, perché abbatte limiti spaziali e temporali. Vivendo con dispositivi mobili si è persone mobili, e così si torna all’essenza originaria del mestiere, vivendo tuttavia con le logiche tipiche del web.

Con la pandemia molte parrocchie si sono avvicinate all’utilizzo dei social, si stima almeno una su due oggi abbiano dei canali web. Eppure anche durante il lockdown il Papa ha messo i guardia dal rischio di una chiesa smaterializzata, gnostica. È un segnale positivo o meno?

È un segnale positivo perché come dire sostituisce, dà un’alternativa a un impedimento, a un’impossibilità, e quindi assicura una continuità pastorale e un legame con la fede, oltre che una relazione con una figura importante come il pastore, il parroco. Dall’altro, però, c’è un rischio che un po’ si è manifestato all’inizio della pandemia, dove all’inizio c’è stato uno spartiacque dove tutto è esploso, e nell’esplosione si perdono le sfumature. Si sono viste cose inadeguate, inopportune da un punto di vista liturgico. La risposta è stata in molti casi tanto immediata quanto non efficace. Certamente non bisogna rendere superficiale e ridurre il senso della liturgia, ma l’altro rischio è anche quello di sbilanciarsi sulla perfezione stilistica.

Con questo che cosa intende, può spiegarci meglio, magari con qualche esempio?

Con la pandemia sono usciti ad esempio i “preti youtuber”, che hanno assunto un linguaggio, che è quello degli influencer sul web, e che hanno creato momenti pastorali e catechetici perfetti dal punto di vista stilistico, formalmente impeccabili. Lì c’è il rischio dell’inautenticità. La fede va vissuta per quella che è. Mediarla, tecnologizzarla, renderla stilisticamente perfetta, da un certo punto di vista ne sminuisce il senso autentico.

In un altro dei passaggi del suo messaggio, Francesco ha riservato parole dure per il rischio di un’informazione “preconfezionata, di palazzo, autoreferenziale, che sempre meno riesce a intercettare la verità delle cose e la vita concreta delle persone”. È il tema dello scollamento tra grandi media e “paese reale”, di cui si parla da anni, che ha avuto il suo apice con la presidenza di Trump o per vicende come la Brexit. A che punto siamo, l’informazione sta imparando qualcosa?

L’informazione sicuramente sta imparando qualcosa. Il mondo giornalistico è sempre stato elitario, esclusivo, con il fatto che i giornalisti fossero opinion-leader, opinion-maker, essendo gli unici detentori della possibilità di fabbricare notizie. L’avvento del web ha destabilizzato la professione giornalistica, perché tutto è potenzialmente fonte giornalistica. Anche le fonti istituzionali attingono da quelle amatoriali. Il mondo giornalistico deve quindi stare attendo a cogliere questo aspetto, e a fare una sorta di mea culpa e un bagno di umiltà, perché non si è più detentori della verità ma si hanno molti più interlocutori con cui confrontarsi. Se coglie questo aspetto, il giornalismo ha un grande futuro grazie all’ausilio della tecnologia e del web. Se non lo coglie, il rischio è di passare da esclusivi a esclusi. Di essere cioè fagocitato e centrifugato dalla comunicazione incontinente e totale, che è una soluzione assolutamente evidente del contemporaneo.

Il Papa ha invitato anche a non “raccontare la pandemia, e così ogni crisi, solo con gli occhi del mondo più ricco, di tenere una ‘doppia contabilità’”, e a non trascurare “il dramma sociale delle famiglie scivolate rapidamente nella povertà”. Vede questo rischio?

I messaggi del Papa per le Giornate mondiali delle Comunicazioni sociali non sono esclusivamente dedicati alla comunicazione. Sono pezzi di magistero, riflessioni profonde del Papa. Questo messaggio, come tanti altri documenti e contenuti, ruota intorno alla cultura dell’incontro. Il Papa lo dice: il giornalismo ha la possibilità di andare dove gli altri non vanno, di andare in Africa, di raccontare i poveri, i perseguitati, le vittime di ingiustizia, i danni contro il creato. Ed è interessante l’idea della doppia contabilità, il rischio che si corre se non si va “dove sono le persone”: quello cioè di aumentare l’esclusione. Il web, essendo un prodotto di consumo, rischia di alimentare le differenze e di spalancare la porta delle disuguaglianze. La sollecitazione del Papa è quella di incontrare a trecentosessanta gradi l’uomo dov’è, e soprattutto l’uomo più indietro e più in difficoltà, l’uomo perseguitato, il povero, il migrante, che tradizionalmente non ha voce.

Su TikTok, social e giornalismo il Papa ribalta le nostre logiche. Parla il prof. Padula

Sul web le regole sono fondamentali, ma non si può ragionare con la logica della demonizzazione. Il Papa coglie nel segno e spalanca una finestra sui rischi e le opportunità del nostro tempo. Conversazione di Formiche.net con Massimiliano Padula, presidente Copercom, il Coordinamento delle associazioni per la comunicazione e docente di Scienze della comunicazione sociale alla Pontificia Università Lateranense

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