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Si dice che ci siano tre persone che, mantenendo sempre un profilo defilato o comunque non da protagonisti principali, muovano i fili della politica romana: contribuiscono cioè a tessere alleanze, a tenere vivo un rapporto fra avversari, a disegnare scenari futuri. I loro nomi sono ben noti a chi segue le vicende politiche, anche se appunto non come i protagonisti principali della scena: Goffredo Bettini, Gianni Letta e Denis Verdini (il quale però è da qualche giorno “fuori combattimento” perché “azzoppato” da una quanto meno controversa sentenza della magistratura).

La novità di questi giorni è che, abbandonato il suo storico understament, Bettini è sceso direttamente un campo con interviste e interventi sui giornali per dare corpo con le sue parole, in modo performativo, ad un progetto di riassesto del potere governativo. Cioè proprio quel movimento, da un semplice “rimpasto” fino a un allargamento della maggioranza o addirittura alla sostituzione dell’attuale presidente del Consiglio, che Giuseppe Conte cerca in tutti i modi di evitare (un vecchio adagio della politica romana dice che le “crisi”, fossero pure “pilotatate”, non si sa mai come finiscono perché le tante variabili di una situazione possono sfuggire di mano anche al più abile dei manovratori).

In verità, Bettini, intervenuto ieri con una lettera al Corriere della Sera, chiede un coinvolgimento di Forza Italia e di Berlusconi, che hanno dimostrato disponibilità a collaborare nella gestione di questa nuova fase dell’epidemia: in particolare, un coinvolgimento nella stesura della legge di Bilancio, cioè di quella che è oggi la legge più importante di uno Stato. Bettini vuole inoltre che siano chiamate “all’interno dell’esecutivo le energie migliori e necessarie per competenza e forza politica in grado di offrire, insieme a Conte, un punto di riferimento indiscusso all’Italia e alla Repubblica”. Ove quell’“insieme a Conte” sembra un po’ irrealistico, visto che il premier non vuole minimamente toccare, e nemmeno allargare, come dicevamo, la sua squadra: un po’ per ambizioni personali, ma forse soprattutto per le conseguenze che potrebbero esserci sui fragili equilibri dei Cinque Stelle, che nell’ultimo fine settimana hanno raggiunto una unità solo di facciata con i loro Stati Generali.

D’altronde, una delle due leve forti su cui poteva contare Conte, che in questa fase appare fortemente indebolito, la credibilità internazionale (l’altra è l’appoggio incondizionato del Presidente della Repubblica), si sta rapidamente sgretolando: sia a livello europeo, ove si nota una insofferenza del duo di testa Macron-Merkel; sia a livello atlantico, ove un po’ per le “ambiguità cinesi” e un po’ per i legami pregressi con Trump, Joe Biden si è mostrato freddo con lui nei primi passi da presidente americano.

La lettera di Bettini non fa che confermare le aperture a Forza Italia che c’erano state pure da parte di Nicola Zingaretti, il quale d’altronde si muove all’unisono con il suo consigliere politico. Ora, non ci vuole molto a capire che della entente cordiale che si sta realizzando fra Pd e Forza Italia non può che essere contento anche l’altro uomo delle “retrovie”, cioè Gianni Letta, che da mesi, come consigliere di Berlusconi, si muove per un dialogo soprattutto con il premier.

Il punto che però rimane sospeso concerne appunto Conte, il quale rischia di rimanere schiacciato nella tenaglia fra Cinque Stelle, da una parte, e Pd-Forza Italia, dall’altra. In mezzo, come un fiume scorre il tema non risolto del suo futuro politico: nuova guida dei Cinque Stelle, o leader di un partitino moderato che andrebbe a ricoprire quell’area centrista che va appunto dal partito di Berlusconi a quello di Zingaretti (con un Matteo Renzi costretto, da varie vicende, ad abbassare l’asticella delle sue ambizioni personali)?

Due gli elementi che ci sembrano rilevanti che emergono dalla situazione in atto della politica italiana: da un lato, l’insoddisfazione ormai palesata pubblicamente del Pd per un governo confuso o impossibilitato ad agire; dall’altra, la rinnovata e per molti aspetti incredibile “centralità politica” che, a 84 anni e con un Covid virulento che non l’ha risparmiato, ha saputo riconquistarsi in un paio di mesi, contro ogni plausibile previsione, il Cavaliere.

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