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Nella giornata di venerdì una nuova direttiva del cinese Ministry of Industry and Information Technology (MIIT) ha ufficializzato l’adozione di nuove regolamentazioni per l’industria delle terre rare. Le misure, che si aggiungono a quelle già vigenti sugli stadi d’estrazione, sviluppo dei siti minerari e di separazione dei metalli, andranno a regolare i processi più downstream, dalla raffinazione fino al trasporto e all’esportazione dei materiali.

Non solo. Secondo il Global Times, le nuove regolamentazioni – che includono una lista di 29 articoli – andranno ad imporre standard di controllo anche sul sistema degli investimenti e dei progetti coinvolti nel settore, a dimostrazione di come Pechino voglia “standardizzare il management dell’industria delle terre rare e promuoverne uno sviluppo di qualità”. Secondo Liu Enqiao, analista presso l’agenzia pechinese Anbound Consulting, l’iniziativa è volta anche a incoraggiare lo sviluppo e il consolidamento dell’export di componenti a più alto valore aggiunto, limitando così l’export dei materiali grezzi.

Inoltre, riporta il quotidiano Asia Nikkei, le regole prevedono che le compagnie coinvolte debbano adeguarsi alle misure di controllo sulle esportazioni implementate lo scorso dicembre, quando Pechino aveva emanato una nuova legge per proteggere i materiali strategici e le componenti tecnologiche più sensibili per gli interessi del Pcc e per la sicurezza nazionale.

Il combinato disposto di queste misure potrebbe dare a Pechino un leverage ancor più decisivo su di una catena del valore cruciale per molte industrie high-tech, specialmente per l’utilizzo dei magneti di terre rare nei motori elettrici, nelle turbine eoliche offshore, in tecnologie dual-use come droni e in molte applicazioni militari, dai jet ai missili fino ai sistemi di controllo.

Inoltre, al controllo sull’export e una maggiore regolamentazione dell’estrazione domestica – afflitta da un’incontrollata proliferazione di miniere clandestine a cui le nuove misure proibiranno qualsiasi attività commerciale – è già seguito un vistoso calo delle esportazioni rispetto agli anni precedenti: nel 2020 la Cina ha esportato 35,447 tonnellate, il 23% in meno rispetto al 2019 e il 33% in meno rispetto al 2018. Il calo del 2020 è comprensibile anche alla luce del lockdown in seguito alla pandemia e alla “scialba crescita della domanda da end-users al di fuori della Cina”, ha commentato David Merriman, manager presso l’agenzia di consulenza Roskill.

Attualmente le industrie estrattive cinesi contano per il 60% della produzione globale e sono responsabili della maggior parte della separazione e raffinazione degli ossidi in leghe e metalli: due step cruciali per la trasformazione in valore aggiunto delle terre rare. Considerazioni di natura strategica e geo-economica hanno indotto l’Unione Europea e gli Stati Uniti a prendere serie iniziative nel corso del 2020 per ridurre la dipendenza dalla Cina e mitigare i rischi delle industrie high-tech rispetto a questa supply chain.

Ma nel breve-medio periodo, potrebbe non bastare. La Cina considera le terre rare come una “risorsa strategica” da poter utilizzare a suo vantaggio in eventuali dispute diplomatiche a livello internazionale, opzione peraltro continuamente discussa dalle élites cinesi nel corso dei decenni e concretizzatasi circa dieci anni fa con la crisi scoppiata con il Giappone. Oggi, con le continue frizioni tra USA e Cina nella competizione tecnologica, simili episodi non sono del tutto da escludere. Anche in un recente joint report firmato European Chamber of Commerce e il think tank Merics, come segnalato da Formiche.net, viene ricordato come l’episodio di un decennio fa avesse “dimostrato l’abilità della Cina di militarizzare il suo dominio sulla produzione di input cruciali e di esercitare pressione politica” e al contempo come oggi ci ricordi “i costi del decoupling e delle strade per ridurre le vulnerabilità dalle restrizioni all’export cinesi”.

In uno scenario globale di crescente competizione e di ricorso all’autonomia strategica, le terre rare rischiano di diventare nuovamente un’arma geopolitica, in una congiuntura economica che vede i primi segnali di un nuovo “commodity super-cycle”, dal momento che la domanda per questi materiali è destinata ad esplodere con l’implementazione dei piani industriali green-tech delle nazioni sviluppate. Ma in questo settore, la flessibilità dell’offerta è particolarmente ridotta.

“La Cina ha tutto il diritto di fare quello che vuole per la sua industria domestica” ha twittato Simon Moores, imprenditore e Ceo di Benchmark Mineral Intelligence. “La ragione per cui la fornitura delle terre rare è destinata a diventare una questione importate è perché non sono state sviluppate capacità di separazione e nuove miniere da altre parti”.

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