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Si potrebbe apostrofare Ennio Flaiano e dire che “la situazione è grave ma non è seria”. E d’altronde seria come potrebbe mai esserlo se nessuno ha intenzione di prendersi un minimo di responsabilità, di fare un minimo di autocritica, di impostare un discorso che sia effettivamente rivolto agli italiani e non ad alleati e avversari nel solito permanente posizionamento e riposizionamento di forze in campo che è la cifra della politica italiana attuale?

Certo, non è serio stare col “piede in due staffe”, come imputa Nicola Zingaretti a un Matteo Renzi che prima lascia passare, con i membri di Italia Viva presenti nella compagine governativa, l’ultimo Dpcm di Giuseppe Conte, e poi chiede al premier di riscriverlo. Un’umiliazione a cui così brutalmente nessun politico mai si sottoporrebbe, e perciò poco realistica. Ma è serio, forse, tutto il resto, a cominciare dalla mancata trasparenza della comunicazione sui dati del virus allo scaricabarile deresponsabilizzante delle forze che stanno al governo?

Tutti cercano di lucrare qualche piccolo vantaggio personale, non rendendosi però conto di stare scherzando col fuoco, che presto qualcuno, o meglio la forza delle circostanze, potrebbe decidere di mandarli tutti a casa. Il più isolato di tutti politicamente, in questo momento, è proprio il presidente del Consiglio, ma paradossalmente proprio questo isolamento lo rende ben saldo al timone. Nessuno può dire di avere con lui un rapporto più privilegiato di quello degli altri, e ciò lo salva, ma tutti possono bloccarne l’azione, e di fatto la bloccano. Tutti hanno qualcosa da rimproverargli, ed è facile farlo, ma nessuno si coalizzerebbe mai con gli altri per mandarlo a casa.

Zingaretti parla di una “svolta” nell’azione del governo almeno da un mese, ma in fondo non sembra crederci crede nemmeno lui: le svolte si esigono, non si chiedono. Luigi Di Maio invoca “tutela per i non garantiti”, quasi come non facesse parte dell’esecutivo e non avesse la forte influenza politica che ha. Si rivolge non a Conte, che fosse per lui manderebbe subito a casa, ma direttamente al Presidente della Repubblica. Poi non trova di meglio che rilanciare la battaglia “populista” del taglio degli stipendi dei parlamentari perché, dice, “tutti devono fare sacrifici in questo momento”: quasi una compensazione simbolica da offrire agli italiani prostrati dalla crisi, e quindi alla ricerca di cose concrete, e di fatto una (molto presunta) arma di distrazione di massa.

Quanto all’opposizione, essa non tocca palla, ma non si stanca di commettere il più banale degli errori, quello da matita rossa se esistesse ancora un manuale di cultura politica: scendere nel concreto dei provvedimenti, finendo per dare l’impressione, come ha scritto Aldo Cazzullo, di essere per le chiusure quando il governo apre e per le aperture quando chiude. Alla destra basterebbe invece mettere il governo di fronte agli errori fatti e proporre non altri provvedimenti ma una diversa filosofia con cui affrontare la crisi. In compenso c’è chi, come Giancarlo Giorgetti, lavora sugli scenari futuri, fa strategia. E pensa a una rielezione di  Mattarella e poi a rapide elezioni, in modo che il successore non sia votato da un Parlamento delegittimato dalla riduzione del corpo elettorale testé passata con referendum costituzionale.

Quello del vicesegretario della Lega è un modo di scompigliare le carte, ma forse anche un segno di debolezza sulle possibilità odierne che l’opposizione, e con essa la politica italiana, ha di uscire dallo stallo. Sarà pure vero che il nemico è il virus, come dice il Presidente della Repubblica, ma è risaputo che il virus colpisce chi ha le difese immunitarie basse. La politica italiana, avvolta su stessa, autoreferenziale e senza coraggio, quasi non ne ha più, e sarebbe forse il caso che ne prendesse atto: la consapevolezza, che manca, sarebbe già forse un inizio di guarigione.

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