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“Dieci minuti che finisco al supermercato e ci sono. Il supermercato. È uno dei pochi svaghi che ci è rimasto”. Una voce squillante, da gentiluomo palermitano, risponde al telefono. È Giuseppe Ayala, settantacinque anni, magistrato, anzi un monumento della magistratura italiana. Già procuratore capo di Palermo, braccio destro di Giovanni Falcone nella lotta a Cosa Nostra, poi sottosegretario alla Giustizia con Romano Prodi, sospira preoccupato. “La povertà, le proteste, le aziende che chiudono. C’è una congiuntura perfetta”. Per cosa, dottor Ayala? “Per la mafia. Cosa Nostra non è sparita, non è nemmeno in rianimazione, è solo in corsia per accertamenti. E la ‘Ndrangheta in ospedale non ci è mai entrata”.

Cosa glielo fa dire?

Conosco la mafia. E anche se sono stato in prima linea tanti anni fa, certi metodi sono duri a morire.

Quali?

Un piccolo imprenditore è costretto a chiudere, le banche lo abbandonano, i soldi dello Stato arrivano troppo tardi. Arriva il mafioso con il denaro liquido e lo aiuta a ripartire. “I picciuli ce li metto io”. Io e Falcone denunciammo questo rischio negli anni ’80, anche al Nord. Ci insultarono, dicevano: come si permettono due magistrati del Sud a dire che al Nord c’è la mafia?

Poi?

Poi le indagini negli anni ci diedero ragione. Quanti comuni sciolti in regioni un tempo impensabili. Valle d’Aosta, Lombardia, Veneto. Perfino Brescello, il paesino di don Camillo e Peppone. La mafia va dove ci sono i soldi.

Il prossimo anno, salvo imprevisti, arriveranno i miliardi del Recovery Fund Ue. Quel bottino fa gola alle organizzazioni criminali?

Eccome se fa gola. Le istituzioni pubbliche devono organizzarsi preventivamente. La magistratura, le forze dell’ordine che, per inciso, sono il fiore all’occhiello dell’Italia nel mondo, agiscono per reprimere, a reato consumato. Qui bisogna giocare d’anticipo.

Dove si parte?

Dagli appalti. Tanti di quei fondi saranno spesi in infrastrutture. L’emergenza spinge a velocizzare, a ridurre la macchinosità delle gare ad evidenza pubblica. È un’esigenza sotto gli occhi di tutti, ma serve un punto di equilibrio. L’affidamento diretto facilita le infiltrazioni criminali tramite società di comodo. Non invidio il lavoro che attende la Pubblica amministrazione.

C’è solo Cosa Nostra a puntare i soldi della ripresa?

La lista è lunga. Cosa Nostra ha ricevuto un po’ di colpi, guai a pensare che sia stata sconfitta. La Ndrangheta oggi va più forte. Per usare un paragone medico, non ci è mai entrata in ospedale. È l’unica che è riuscita a globalizzare il business mafioso.

L’assistenzialismo di Stato al Sud facilita oppure ostacola le famiglie?

Non le facilita, di certo non toglie loro campo. Il reddito di cittadinanza non interessa più di tanto la criminalità organizzata. Nel mirino, ripeto, c’è la piccola e media imprenditoria, il commerciante che deve pagare il pizzo per superare il lockdown. Qualcuno, penso a Palermo, inizia a denunciare. Un tempo si pagava con la vita.

Ayala, chiudiamo con uno sguardo alla magistratura oggi. Correnti, faide intestine, omertà. Se la ricordava così?

Io ho sempre preso posizioni nette contro il correntismo. Due anni fa, al 25esimo dalla morte di Falcone, il presidente Mattarella convocò un plenum straordinario del Csm (Consiglio superiore della magistratura, ndr). Dopo Maria Falcone e Peppino di Lello mi alzai io e lessi le parole di condanna che Giovanni scrisse sulle correnti nel 1989. Di fronte a me c’era Luca Palamara.

È un capro espiatorio come dice lui?

Lui è incappato nel Trojan, sa quanti altri ce ne sono? È una logica, su questo ha ragione. Un tempo le correnti avevano un minimo di lignaggio, esisteva un dibattito culturale. Oggi sono peggio dei partiti politici. Il clientelismo è la più grande offesa che si possa arrecare alla nostra professione.

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