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Anche Canberra mette gli occhi sul Gcap. O, almeno, valuta di farlo. A margine dell’Avalon air show di Melbourne, esponenti della Royal australian air force (Raaf) hanno confermato di aver ricevuto della documentazione riguardo il programma anglo-italo-nipponico che svilupperà il caccia di sesta generazione. “Si è trattato di un briefing informativo”, ha chiarito il vice maresciallo dell’aria della Raaf, Nicholas Hogan, aggiungendo che “abbiamo chiesto ulteriori informazioni al riguardo”. Si allarga dunque la platea di Paesi potenzialmente interessati al Global combat air programme. Il programma, che recentemente ha registrato anche l’interessamento dell’Arabia Saudita, potrebbe risultare strategico per l’Australia, la quale si trova a fare i conti con una Cina sempre più assertiva nel quadrante indo-pacifico. 

Anche Canberra nel Gcap, ma a che titolo?

Il crescente interessamento al Gcap da parte di diversi Stati è senz’altro una conferma della validità del programma e delle sue prospettive future. Tuttavia, non è detto che tutti i Paesi interessati entreranno a far parte della cordata che svilupperà il caccia di sesta generazione. Come ribadito più volte dagli addetti ai lavori, il segreto del successo del Gcap sta nell’equilibrio che si è raggiunto tra i tre promotori principali (Italia, Regno Unito e Giappone), capitalizzando su quanto appreso in programmi di sviluppo congiunti passati, come Eurofighter e F-35. Un’eccessiva moltiplicazione dei decisori potrebbe dunque rappresentare un potenziale freno allo sviluppo on schedule del programma, allontanando l’orizzonte del 2035 per l’entrata in servizio del velivolo. Tuttavia, è possibile (e forse anche auspicabile) che l’Australia stia valutando di mettersi in prima fila tra i futuri importatori del Gcap. Le Forze aeree di Canberra dispongono infatti di assetti di quarta (F/A-18 Hornet) e quinta generazione (F-35), ma attualmente non sembrano avere ancora le idee chiare sulla direzione da intraprendere per la sesta. Il Gcap, al cui sviluppo partecipa anche il Giappone, potrebbe avere quindi le carte in regola per operare in uno scenario complesso come l’Indo-Pacifico già nella sua configurazione di base. Davanti a queste prospettive (nonché rispetto ad altri, futuribili, interessamenti), torna alla ribalta il tema della definizione preventiva delle regole che interesseranno l’export del Gcap. Tema che rientra tra le lezioni apprese nei precedenti programmi e che in passato ha creato non pochi ritardi e problemi per lo sviluppo congiunto di altri sistemi simili. In tutto questo, bisogna anche considerare il possibile contributo che l’Australia potrebbe fornire nel settore dei droni gregari del Gcap, i quali non rientrano nel programma principale ma potrebbero parimenti rappresentare un interessante strumento intermedio per includere altri partner esterni al progetto senza per questo rischiare di ritardare le tempistiche già prefissate.

I numeri del Gcap

Ad oggi, tre Paesi e circa 9mila persone sono coinvolte nello sviluppo del Gcap, 3mila delle quali in Italia. Dal lato italiano, sono coinvolte le maggiori industrie della Difesa e dell’aerospazio, come Leonardo, Avio Aero, Elettronica e MBDA Italia, oltre all’intera filiera nazionale composta da Pmi, centri di ricerca, università, start-up e controllate estere di Leonardo. Dal 2022 ad oggi, il Gcap ha già coinvolto circa 450 attori che fanno parte della supply chain nazionale, con un volume di quasi 200 milioni di euro orientato alla fase di ricerca e sviluppo. 

L’organizzazione intergovernativa Gigo

L’Organizzazione governativa internazionale del Gcap (Gigo), che sarà responsabile della conduzione del programma, è stata istituita con un trattato sottoscritto dai ministri della Difesa di Italia, Regno Unito e Giappone. L’accordo prevede che il programma si baserà sui principi di pari responsabilità e pari contribuzione finanziaria da parte dei rispettivi governi e che assicurerà ai tre partner la piena condivisione delle tecnologie, del know-how ed un’equa distribuzione geografica delle attività. Infatti, il primo direttore generale dell’organizzazione sarà giapponese e il primo amministratore delegato della joint venture sarà un italiano, mentre il quartier generale della Gigo e dell’azienda saranno ubicati nel Regno Unito.

Sesta generazione, anche l’Australia valuta il Gcap. Ma a che titolo?

Anche l’Australia sarebbe interessata al caccia di sesta generazione anglo-italo-nipponico. Tuttavia, un coinvolgimento a pieno titolo di nuovi partner potrebbe complicare lo sviluppo del programma, già solido grazie alla collaborazione tra i tre membri. Il Gcap potrebbe essere anche un’opportunità per Canberra di entrare nel mercato della sesta generazione, con possibili contributi anche nel settore dei droni gregari, ma questo vorrebbe dire aprire un capitolo complesso: quello della definizione delle regole sull’export

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