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I 100 anni dell’intelligence italiana sono stati opportunamente festeggiati con un francobollo e con una moneta commemorativa da cinque euro in argento.

Non per fare il pedante, ma, secondo me, si sarebbero potuti festeggiare anche i 165 anni dell’Intelligence, essendo presenti nello Stato italiano fin dalla sua costituzione.

Infatti, l’estensione dello Statuto Albertino in tutto il Paese comprendeva anche le attività di quella che oggi chiamiamo Intelligence, ma che allora aveva una valenza esclusivamente militare, come ben si sperimentò durante la guerra civile del brigantaggio.

Il generale e agente dell’intelligence Ambrogio Viviani, che non a caso è stato il primo a scrivere nel 1986 una “Storia dei Servizi segreti italiani”, in precedenza aveva pubblicato un interessante libro su “I servizi segreti piemontesi nel Risorgimento”.

Infatti, durante il Risorgimento e poi l’Unità, le guerre coloniali, il primo conflitto mondiale i Servizi fecero la loro parte significativa.

Ma si sa che le ricorrenze hanno un criterio convenzionale.

In questo caso, si è assunta come data il 15 ottobre 1925 quando con un Regio decreto venne istituito il Servizio delle Informazioni Militari.

Per le particolari condizioni operative e per la delicatezza dei compiti affidati, l’attività dei Servizi deve essere necessariamente riservata e in alcuni periodi, come durante il fascismo o la guerra fredda, può scivolare, per diverse ragioni, in azioni censurabili di alcuni suoi membri.

Nulla o poco si sa invece del lavoro quotidiano che viene svolto per garantire la sicurezza delle istituzioni e dei cittadini, in Italia e all’estero.

Il SIM condivise l’impegno di raccogliere informazioni per la sicurezza dello Stato con la Polizia diretta a lungo da Arturo Bocchini e con l’OVRA, venendo ritenuto troppo vicino al regime fascista, tanto da essere coinvolto nell’omicidio dei fratelli Rosselli in Francia nel 1937.

La “leggenda nera” dei Servizi probabilmente si consolida proprio con questo episodio.

Nell’immediato dopoguerra, nel 1945 il SIM di fatto viene sospeso, con gli agenti italiani affiancati da quelli della vittoriosa intelligence americana.

Bisognerà attendere il 1949 per vedere istituito, con una circolare del ministro della Difesa, il Servizio Informazione Forze Armate che nel 1965 viene ribadito con un decreto del Presidente della Repubblica, che può essere considerato il primo atto normativo in cui si tratta di intelligence.

Dopo lo scandalo della schedatura di migliaia di esponenti pubblici, nel 1966, sempre con una circolare del ministro, nasce il Servizio Informazioni Difesa, che venne più volte coinvolto durante la strategia della tensione.

Nel mio libro “Intelligence e magistratura. Dalla diffidenza reciproca alla collaborazione necessaria” ho compiuto un parziale resoconto dei principali provvedimenti giudiziari che hanno investito dagli anni Settanta ad oggi i rappresentanti dei Servizi, indicando le accuse e precisando poi quali sono state le sentenze. Ed è facile constatare che sono state più le assoluzioni che le condanne.

Al 1977 risale la prima legge sui Servizi, approvata in piena guerra fredda, con l’emergenza del terrorismo politico in atto e con la maggioranza parlamentare del compromesso storico.

Vengono previsti due Servizi, una struttura di coordinamento, un organo di controllo parlamentare, un comitato di indirizzo politico. Un passo avanti notevole, poiché la materia veniva sottratta alle disposizioni amministrative e diventava per la prima volta una norma primaria conoscibile da tutti i cittadini.

Dopo trent’anni, viene approvata la legge di riforma che definisce i rapporti con la magistratura, i termini del segreto di Stato e concentra il potere politico sul ruolo del presidente del consiglio.

Dal 2007, finora nessun operatore dei Servizi ha subito condanne per procedimenti penali, sintomo che l’equilibrio tra i poteri sostanzialmente funziona.

Due anni prima dell’approvazione della legge di riforma, nel 2005 a Baghdad perde la vita Nicola Calipari mentre era impegnato nelle operazioni di salvataggio della giornalista Giuliana Sgrena.

Calipari è la figura più nota dei caduti dell’intelligence, alla quale è stato recentemente dedicato il film “Il nibbio” diretto da Alessandro Tonda, che si sofferma soprattutto sugli aspetti umani del protagonista. La pellicola ha avuto riscontri molto positivi.

Insieme a lui, a partire dalla prima guerra mondiale, ci sono 18 medaglie d’oro al valor militare e altri 5 caduti durante missioni all’estero negli ultimi anni.

Si tratta di Vincenzo Li Causi, Lorenzo D’Auria e Pietro Antonio Colazzo, a cui si aggiungono Claudio Alonzi e Tiziana Barnobi che hanno perso la vita sul Lago Maggiore nel maggio del 2023.

Ma gli eroi dell’intelligence, sono migliaia e quasi tutti sconosciuti. Una rassegna significativa di questi “invisibili” si trova nei sei meritori volumi sulla storia dell’intelligence scritti da Maria Gabriella Pasqualini e nel libro di Andrea Vento “In silenzio gioite e soffrite. Storia dei servizi segreti italiani del Risorgimento alla guerra fredda”.

Negli ultimi anni l’intelligence nazionale ha avuto un’apertura al mondo esterno, visitando e stipulando accordi con le università, dove ha anche reclutato degli operatori, soprattutto nell’ambito cyber.

È stata diffusa la cultura dell’intelligence, sia nelle scuole, con alcuni tentativi pilota, e sia nella pubblica opinione aprendo il sito alle candidature di lavoro nei Servizi e pubblicando la rivista Gnosis, il cui ultimo numero, disponibile on line, è stato recentemente presentato in una manifestazione pubblica alla presenza dell’autorità delegata Alfredo Mantovano e dei vertici Vittorio Rizzi, Giovanni Caravelli e Bruno Valensise.

Sono aumentate le pubblicazioni scientifiche che riguardano l’intelligence, master accademici e anche i libri con le testimonianze degli operatori.

Insomma parlare oggi di Intelligence anche in Italia non produce nella maggioranza dei casi una reazione negativa. Infatti, occorre prendere atto che a livello di opinione pubblica mondiale l’intelligence è sempre più considerata uno strumento della democrazia, piuttosto che un luogo oscuro dello Stato.

Secondo me, il cambiamento di questa percezione lo si è avuto a partire dall’eccidio parigino di Charlie Hebdo del 7 gennaio 2015 ed è proseguito costantemente. Infatti nella guerra in Ucraina, l’intelligence viene sempre sistematicamente citata sui media come fonte credibile di informazione, mentre nel recentissimo accordo tra Israele ed Hamas è stata essenziale la mediazione dei Servizi di Intelligence dello Stato ebraico, in particolare lo Shin bet, e di quelli americano, egiziano e turco; e probabilmente anche altri.

Si tratta di un ruolo inedito dell’intelligence, che non potrà che progredire nei prossimi anni. In tale quadro, il rapporto tra intelligence e democrazia anche in Italia è fondamentale, per tutelare l’interesse nazionale.

Nonostante non siano mancate le polemiche e i tentativi di inserire l’intelligence come elemento divisivo nel dibattito politico, nel “Rapporto Italia 2025”, presentato dall’Eurispes, il 67,2% dei cittadini esprime fiducia nei confronti delle agenzie di intelligence, con un aumento di oltre il 4% rispetto all’anno prima e con percentuali superiori, tra gli altri, a quelle dei partiti politici e dei sindacati.

Penso che l’intelligence nell’immediato futuro debba occuparsi anche di temi quali la difesa dello Stato dalle multinazionali finanziarie, dalle megalopoli e soprattutto dalle organizzazioni criminali; il disagio sociale, che potrebbe a breve minacciare la stabilità delle istituzioni democratiche; i rischi connessi alla dimensione Cyber e all’intelligenza artificiale, diventando indistinguibili non solo il vero e il falso ma anche il legale e l’illegale; la minaccia della disinformazione con l’obiettivo della conquista della mente dei cittadini, tenendo però conto che quella più pericolosa viene prodotta all’interno delle comunità nazionali; l’esplorazione dello spazio, che apre nuove frontiere; lo sfruttamento dei fondali marini, fondamentali non solo a livello alimentare ma anche per la sicurezza dei cavi telematici; la guerra metereologica con conseguenze climatiche di assoluto rilievo; il ricorso a società di consulenze private, che indebolisce le competenze del settore pubblico nazionale; l’indispensabile collaborazione tra pubblico e privato; la diffusione della cultura dell’Intelligence non solo nelle scuole e nelle università, ma anche nelle aziende private e nella pubblica amministrazione; la guerra normativa, per evitare di essere già sconfitti in partenza perché la legge prevede in anticipo chi vince e chi perde.

Queste sono solo alcune delle possibili attività che l’intelligence deve affrontare già da ora, tenendo conto che la metamorfosi del mondo, causata dal confronto tra intelligenza umana e intelligenza artificiale, ha fatto emergere uno scenario in cui nulla sarà più come prima.

Pertanto le parole, i concetti culturali, le categorie giuridiche, l’organizzazione statale dovranno essere radicalmente ripensati.

Sotto questo aspetto, l’intelligence, intesa come punto d’incontro della conoscenza, può consentire ancora il predominio dell’umano, esaltando il valore della logica, della razionalità, del pensiero. È una grande sfida che richiede all’uomo un modo nuovo di pensare.

Appunto per questo credo che il XXI secolo possa essere quello dell’intelligence.

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