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C’è un punto nevralgico nelle politiche europee sull’immigrazione clandestina e lo spiega bene un termine come cooperazione, senza il quale non si sarebbe mai giunti all’attuale regolamento della commissione europea che ricalca moltissimo delle politiche applicate in due anni e mezzo dal governo guidato da GiorgiaMeloni.La premessa è utile per capire come raccontare l’approccio della massima istituzione continentale alla questione dei movimenti secondari, dei Paesi di prima accoglienza, delle partenze e del business degli scafisti. Edmondo Cirielli e Carlo Fidanza, rispettivamente viceministro agli esteri e capodelegazione di Fratelli d’Italia al Parlamento europeo lo hanno ribadito in occasione del convegno “Fermare la tratta: cooperazione trans-frontaliera e controllo delle frontiere esterne”, organizzato dal gruppo Ecr a Strasburgo nel giorno in cui non solo l’Ue apre nuovamente al Modello-Albania immaginato dall’Italia, ma si rafforza l’asse Chigi-Downing street sulle future politiche da applicare.

Migrazioni ai tempi della globalizzazione

Si scrive migrazione, ma si legge globalizzazione. Ovvero se è vero come è vero, che un battito di ciglia nel Sahel ha poi riflessi in tutta l’area del Mediterraneo, ecco che non si possono scorporare i due concetti, che invece i decisori devono guardare come pilastri delle leve da azionare. In questo senso il legame con le politiche italiane è solido, è proprio grazie a Meloni che, ha osservato Fidanza, “tra l’Italia e la Francia, ma anche con la Svezia e la Germania, c’è un lavoro comune per fermare le partenze e quindi i movimenti secondari Farsi la guerra tra Paesi non è certamente la soluzione”. Adesso si aspetta solo l’impegno della Commissione europea a definire una lista europea dei Paesi sicuri: “A quel punto – ha aggiunto – avremo un quadro legislativo certo e le iniziative temerarie di certa magistratura dovrebbero trovare un freno e potremo finalmente fare i rimpatri”, con riferimento alle iniziative giudiziarie contro il modello-Albania.

Sul punto sono intervenuti il francese Nicolas Bay, eurodeputato di Identitè Libertès nel gruppo Ecr, componente Commissione LIBE, Alessandro Ciriani, vice coordinatore Ecr in Commissione LIBE, il senatore ligure Gianni Berrino, Sara Kelany, responsabile nazionale dipartimento immigrazione FdI, Nicola Procaccini, copresidente del Gruppo dei Conservatori e Riformisti.

Il ruolo del Piano Mattei

Ma l’Italia può giocare un ruolo diverso rispetto al passato in virtù di uno strumento innovativo come il Piano Mattei (politicamente connesso al Global Gateway Ue), che prossimamente verrà presentato in pompa magna al Parlamento europeo da Ecr: il viceministro Cirielli lo ha ribadito quando ha ricordato la ratio delle numerose iniziative collegate alla nuova visione non predatoria dell’Africa, come la creazione di occasioni di sviluppo. “C’è un problema di medio e di lungo termine e il Piano Mattei rappresenta un elemento formidabile. Aver messo in campo risorse, d’accordo con i Paesi di origine e di transito, non per bloccare tout court l’immigrazione, ma creare in loco opportunità economiche di sviluppo, rappresenta un dato straordinario. La cosa bella è che sin dall’inizio, l’Unione europea e tutti i governi delle più disparate famiglie politiche hanno apprezzato moltissimo questa linea di azione del governo italiano, come il Piano Mattei, il processo di Roma e l’accordo con i Paesi africani sul controllo dell’immigrazione e sulla regolarizzazione dei flussi”.

Contro il business

Non solo un’azione che punta a costruire un futuro da cui non fuggire più, dunque, ma uno strumento anche per evitare che muoia gente innocente. Secondo Cirielli l’Italia “è un popolo, una nazione, uno Stato, una terra, che è stata sempre attraversata da migrazioni, ma migrare deve essere una scelta libera della persona che la mette in campo. Nel senso non costretta da situazioni esterne come fame, violenza, organizzazioni criminali che lucrano sulle persone o comunque spinte esterne”. Da lì è breve il passo sul modus: ovvero con misure diverse rispetto al passato, quando invece il numero di arrivi era maggiore, con rischi legati anche alla possibile infiltrazione terroristica.

Ma non è tutto, perché l’immigrazione clandestina impoverisce i Paesi di partenza e destabilizza i Paesi di transito con un effetto geopolitico non indifferente. Più volte i super player esterni che operano in Africa, come la Cina e la brigata Wagner, hanno influenzato territori e amministrazioni al fine di gestire i flussi. Per cui è di fondamentale importanza lavorare per evitare la destabilizzazione della regione, accanto ad una presa d’atto di tipo giurisprudenziale: lo ricorda Fidanza quando cita “le iniziative temerarie di certa magistratura che dovrebbero trovare un freno e ci dovrebbe essere un quadro giuridico tale da consentire non solo all’Italia, ma anche a tutti gli Stati dell’ Ue , di potere effettuare i rimpatri”.

Il rischio è che che le conseguenze giuridiche e pratiche di quelle pronunce, sostiene il capodelegazione di FdI, si riversino su tutti i 27 Paesi dell’Unione europea: “Se passa il principio che non esistono più i Paesi terzi sicuri in cui rimpatriare gli immigrati irregolari, vorrà dire che né Italia, né Francia, la Slovacchia o Finlandia, potranno più rimpatriare un solo clandestino”.

Geopolitica e sicurezza, il dossier migranti secondo Ecr

“Se passa il principio che non esistono più i Paesi terzi sicuri in cui rimpatriare gli immigrati irregolari, vorrà dire che né Italia, né Francia, la Slovacchia o Finlandia, potranno più rimpatriare un solo clandestino”, ha detto Fidanza. Al seminario di Ecr a Strasburgo presente il viceministro Cirielli.

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