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Lavorino anche la notte, dice il presidente del Consiglio, ma facciano arrivare la cassa integrazione a chi ne ha diritto. Si riferiva all’Inps. Due errori in un colpo solo.

Il primo errore consiste nel supporre che sia un problema d’impegno nel lavoro, fin nel profondo della notte, mentre la questione è che si sono inanellati fallimenti in pieno giorno. La questione non è (solo) quanto si lavora, ma se lo si fa avendo in mente i risultati e conoscendo gli strumenti per conseguirli. Fin qui il grosso dell’impegno di presidenza, all’Inps, è consistito nell’adattare i dati al rendere meno evidenti i fallimenti delle scelte governative.

Il secondo errore consiste nello scaricare sulla macchina burocratica deficienze cognitive ed operative che sono cresciute nell’incapacità di coordinare l’amministrazione, a cominciare dal mettere in sincrono l’attività delle regioni.

Questi due errori sono stati commessi per cercare di mascherare il terzo, il più grave: avere puntato ad avere un vertice dell’Inps politicamente affine e non professionalmente capace, e avere provato a raddoppiarne i guadagni nascondendolo all’opinione pubblica. Nasconderlo, del resto, era necessario, visto che si era teorizzato l’esatto opposto e contro quello si razzolava nel mentre i guadagni degli italiani si contraevano. Perso l’equilibrio su quello non c’è da meravigliarsi se poi la corsa ha portato ad uno scomposto capitombolo.

Ricordate la storia del click day, quando si cercò comicamente di attribuire a inesistenti sabotatori informatici un collasso preparato dal modo stesso in cui si era fatto propaganda sulle scadenze imminenti? Non ho alcun dubbio che 62mila euro sono una remunerazione grottesca, per chi debba avere la preparazione ed ha le responsabilità di dirigere il più imponente centro di spesa sociale. Come non ho alcun dubbio sul fatto che quel livello di retribuzione fu fissato quale segnale di un cambio di tempi e di stile. Ed è quella premessa a spiegare come si sia potuti passare dal fallito click day all’opaco scrocc day, in un fritto misto di demagogia e ipocrisia. Naturalmente, come le carte dimostrano, il governo o era al corrente di quel che si preparava, compreso il pagamento retroattivo dell’aumento, o è popolato da soggetti che firmano senza sapere quel che firmano.

Mossi questi rilievi si arriva alla capitolazione ultima, ovvero alla tesi: perché criticate ora e avete taciuto quando altri facevano le stesse cose? Intanto perché non è vero e, proprio a proposito dell’Inps, l’attenzione è sempre stata alta e le critiche severe. Poi perché roba simile non s’è mai vista. Mai. Infine perché se la linea difensiva consiste nel sostenere che il nuovo non è nuovo manco per niente ciò è esattamente quel che sostenemmo prima che fosse messo alla (fallita) prova.

È così, dunque, che il presidente Conte non ha potuto che riconoscere la natura assistenzialista e senza progettualità del reddito di cittadinanza fin qui praticato, nonché l’opportunità di non perseverare nell’ingiustizia sociale di quota 100. Conte si trova a fare i conti con Conte, visto che quelle due sono le bandiere del suo primo governo. Pensare di cavarsela chiamando Gondrano al lavoro diuturno può essere divertente, ma testimonia disperazione. Supporre di potere prima raccogliere la gloria nel farle garrire e poi pretendere il consenso nell’ammainarle è segno non tanto di dualità facciale, quanto dell’assenza, sull’intera scena, di politica che possa pretende l’iniziale maiuscola e sia capace di parlare altro linguaggio che non quello dell’eterna campagna elettorale. Anche senza elezioni.

 

Tutti gli errori di Conte sull'Inps. Il commento di Giacalone

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