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È vero che in politica contano i fatti e non le intenzioni, ma è pure vero che decifrare le prossime mosse dei protagonisti è (come nel gioco degli scacchi) importante, sia per i politici stessi, alleati e avversari, sia per i semplici osservatori e commentatori. Le parole, come qui si è detto a proposito di Matteo Renzi, sono spesso labile indizio, ma hanno sicuramente un valore.

Rischiano questa volta di essere labile indizio anche per l’altro Matteo, Salvini, pur se per motivi certamente diversi da quelli del leader di Italia Viva. Il fatto più evidente è che negli ultimi due suoi interventi politici, il segretario della Lega è caduto in una contraddizione, poco importa se voluta o meno, in merito ai suoi passi futuri. In un’intervista al Corriere della sera, infatti, si è detto pronto ad incontrare Giuseppe Conte, a cui ha già inviato un invito, “per dirgli che noi ci siamo. Siamo pronti al dialogo”. Non passavano che poche ore dall’uscita in edicola del quotidiano di via Solferino e la mano tesa a Conte scompariva perché in un colloquio con dei giornalisti davanti a Montecitorio, Salvini, suscitando una reazione piccata di Giorgia Meloni (“mai con Pd e Cinque Stelle”), affermava: “Accompagnare il Paese a nuove elezioni con un governo serio, noi ci siamo”. Come si può stare in due luoghi diversi, anzi opposti? Fuor di metafora, qual è il vero Salvini, il primo o il secondo? Intanto, osserviamo che il “vecchio” Salvini sovranista e antieuropeista, fautore di un approccio adversarial, non c’è più.

Non si tratta banalmente di una “svolta moderata”, ma del frutto di un ragionamento tutto politico. In effetti, quell’approccio rischia non solo di non funzionare sul breve e medio periodo (praticamente l’opposizione non tocca più palla e subisce l’agenda del governo e dell’Europa); ma, in prospettiva, ci sono buone ragioni per pensare che in questa condizione di inessenzialità o di forte limitatezza essa possa starci per molto tempo ancora, forse anche nella prossima legislatura. Per due motivi soprattutto: da una parte, in un contesto di crisi come l’attuale, non è detto che i consensi di una forza di opposizione “dura e pura” aumentino o almeno tengano; dall’altra, e soprattutto, perché, facendo eleggere dagli avversari un presidente della Repubblica “non amico”, si rinuncia ad avere dalla propria parte un attore sempre più centrale e attivo (anche quando sembra non esserlo) nella politica italiana.

Ecco, allora che ci appalesa forse il vero intendimento, o meglio obiettivo, di Salvini in questo momento: un rapido rientrare, con Conte o senza Conte, nei giochi della politica in previsione dell’elezione del prossimo capo dello Stato, vero crocevia per gli equilibri futuri. Aver parlato di “ritorno alle urne”, ha avuto l’aria di essere stato un richiamo di maniera, o un “dovere di ufficio”.

Nonostante le voci fatte filtrare nei giorni scorsi dal Quirinale per ricompattare la maggioranza, è irrealistico pensare che i deputati vogliano tornare a casa ora, a metà legislatura, oppure che le forze politiche mettano in agenda e votino la nuova legge elettorale prima del semestre bianco (con Conte che frenerà di sicuro). Molto più realistico è pensare che un Salvini “riabilitato” (caso mai anche a livello europeo grazie al lavoro di Giancarlo Giorgetti) possa essere uno dei “grande elettori” del prossimo Presidente della Repubblica. In queste occasioni, di solito, tutte le alleanze, e quindi anche le previsioni, alla forza dei fatti non reggono. E comunque la maggioranza attuale non ha i voti necessari e dovrebbe necessariamente aprire a destra.

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