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Man mano che passano le ore appare evidente che il “daje” di Beppe Grillo alla ricandidatura a sindaco di Roma di Virginia Raggi aveva come obiettivo quello di smuovere il Movimento 5 Stelle in un blitz di ferragosto con cui sbloccare il tema dei due mandati (fondamentale per rassicurare i gruppi parlamentari di Camera e Senato) e in realtà fare il contrario del modello Raggi: ovvero un’alleanza stabile con il Partito democratico.

Il gioco si farà duro a settembre (tra referendum e regionali) e la creature di Grillo e Gianroberto Casaleggio si sta istituzionalizzando approfittando anche delle difficoltà del Partito democratico.

Le recenti mosse di Grillo (oltre al “daje”, l’incontro con il sindaco di Milano, il dem Beppe Sala che ha mire romane) e di Luigi Di Maio, ministro degli Esteri e già capo politico dei pentastellati che ha aperto alle alleanze, segnalano una ritrovata capacità di “movimento” (è il caso di dire). La linea è quella dell’alleanza con il Partito democratico ma continuamente negoziata.

Grillo crede fermamente nello schema proposito da Goffredo Bettini. Dal “Vaffa” al “daje”, l’ex comico è convinto che il futuro del Movimento 5 Stelle sia nello schema proposto dall’uomo che sussurra al segretario dem Nicola Zingaretti: alleanza politica fra le due formazioni politiche (con due proprie leadership) e un eventuale candidato premier di sintesi (per Grillo come per Bettini all’identikit corrisponde Giuseppe Conte).

Resta il tema di come organizzare il Movimento. Nessuno può dubitare che Di Maio abbia i numeri — quantitativi e qualitativi — per essere l’azionista di maggioranza. Appare però improbabile che l’orologio possa tornare con le lancette indietro.

Ecco perché Chiara Appendino sta conquistando ampio spazio nel Movimento 5 Stelle (più della Raggi). La sindaca di Torino per prima si è sfilata dalla ricandidatura rimarcando due passaggi (il tutto senza fare clamori e senza eccessi di personalismi — cosa gradita a Di Maio): la lealtà verso il principio originario del Movimento (cosa gradita a Davide Casaleggio) e la costruzione dell’intesa con il Partito democratico per un candidato sindaco “terzo” o civico (cosa gradita a Grillo). I due nomi più quotati in caso di coalizione giallorossa provengono proprio dalla società civile. C’è quello del chirurgo Mauro Salizzoni, già direttore del Centro Trapianti di fegato dell’Ospedale Molinette oggi vicepresidente del Consiglio regionale, eletto nel 2018 nelle liste dem di Sergio Chiamparino dopo una lunga militanza comunista. E quello del rettore del Politecnico di Torino, Guido Saracco, docente universitario apprezzato da dem e pentastellati che già l’hanno ribattezzato il “Conte torinese”.

La stessa Appendino oggi ha affidato a un lungo post sulla sua pagina Facebook le riflessioni sul voto della piattaforma Rousseau a cui sono stati chiamati i 5 Stelle: “Votare sì al secondo quesito vuol dire dare un’opportunità in più ai territori che oggi non esiste. Ma vuol dire anche far crescere dando più responsabilità”. Non è passata inosservata la scelta della prima cittadina di Torino di cogliere l’occasione anche per fare un bilancio degli ultimi anni passati al governo della città. “Credetemi”, scrive, “in questi anni da sindaca di quella che per me è la più bella città del mondo, ho imparato tanto. E forse ciò che ho imparato di più è che le idee, per funzionare, devono andare oltre qualsiasi pregiudizio. Non ho alcun timore a dire che mi sono dovuta ricredere su molte persone”.

Lo schema Appendino rischia inoltre di potere essere applicato altrove. Come per esempio nella sopracitata Milano, anche se a parti invertite.

Insomma, la politica italiana che ha sempre avuto una guida di fatto a trazione centro-meridionale potrebbe trovare a farsi i conti con una leadership nuova di provenienza nordista — e donna nel caso della Appendino. Il percorso è solo all’inizio, ed è come sempre in salita. Ma l’accordo fra Di Maio e Appendino si avvicina (magari con l’aiuto di Laura Castelli torinese viceministro al Tesoro come trait d’union). Per la sindaca e il Movimento 5 Stelle potrà iniziare davvero una fase nuova, di maturità e “responsabilità” per usare le sue parole. Un capolavoro per Grillo ma anche una buona conferma per Casaleggio e Di Maio.

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