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Ormai è questione di giorni. Salvo clamorosi colpi di scena, il 31 agosto il Cda di Tim si riunirà per accendere un semaforo verde all’offerta da 1,8 miliardi di euro del fondo americano Kkr per acquistare il 35% di Fibercop, la nuova società in cui confluirà la rete secondaria di Tim (che ne controllerà il 58%, mentre il restante 4,5% sarà in mano a Fastweb).

ACCORDO A UN PASSO

L’accordo che spiana la strada alla rete unica giunge all’indomani di un vis a vis fra gli ad di Tim e Cassa Depositi e Prestiti Luigi Gubitosi e Fabrizio Palermo. Un’uscita dall’impasse che è stata salutata con un fragoroso applauso dai mercati, con un balzo del 4% del titolo di Tim a Piazza Affari.

Il nome del fondo americano entrato nella partita per la rete unica è balzato agli onori delle cronache quando il governo, con una lettera al Cda di Tim, ha chiesto di sospendere l’offerta a inizio agosto. Ma cos’è, da dove viene e chi c’è nel maxi-fondo che vuole comprare un pezzo della rete italiana?

I CONTI IN TASCA

I fondi come Kkr, nel mondo, si contano sulle dita di una mano. Basta guardare ai numeri, da capogiro. Li riassume l’Agi: più di 200 miliardi di dollari amministrati, quasi 1500 fra impiegati e consulenti, affiancati da un esercito di 470 analisti che operano in 20 città di 16 diverse nazioni.

La società di private equity viene fondata a New York, dove è quotata in Borsa dal 2010, nel lontano 1976 da Jerome Kohlberg Jr. e i cugini Henry Kravis e George R. Roberts. Dalla sua nascita, Kkr (acronimo per Kohlberg Kravis Roberts & Co.) ha completato transazioni nel settore del private equity per un valore di più di 400 miliardi di dollari, con investimenti in oltre 160 società dei settori più disparati (energia e infrastrutture soprattutto, ma anche credito e real estate).

IL TEAM (C’È PURE PETREUS)

Ai vertici del Cda del fondo i cofondatori Kravis e Roberts, seguiti da Joseph Y. Bae e Scott Nuttal, manager con un passato a Goldman Sachs e Blackstone, oggi co-presidenti e responsabili delle operazioni, e infine il direttore finanziario Robert Lewin. Fra gli incarichi apicali della società spicca un nome di caratura internazionale. Presidente del Kkr Global Institute, l’istituto che fornisce analisi di rischio e geopolitiche agli investitori del fondo, è infatti David Petreus, leggendario generale a quattro stelle dei Marines, già a capo delle truppe in Iraq, in Afghanistan e Pakistan, poi direttore della Cia. Un nome di peso (politico) assoluto. Nel 2013, quando Petreus accettò l’incarico, Forbes definì il suo “un enorme incarico”.

AMICI DI TRUMP

Se il nome di Petreus non fosse sufficiente a evidenziare il peso di Kkr nel mondo politico e nella comunità di intelligence americana, basti ricordare gli (ottimi) rapporti che la società vanta con il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. In un video di Bloomberg del 2010, il Tycoon disse che Kravis ha “un istinto incredibile”. Il feeling è proseguito negli anni. Tanto che nel 2016, a un passo dalla vittoria della nomination repubblicana, Trump andò a bussare alla porta dell’amico miliardario chiedendogli di fargli da Segretario del Tesoro, per ricevere un cortese rifiuto. Tanto cortese, che Kravis decise di fare una modesta donazione per l’inaugurazione di Trump del gennaio 2017: un milione di dollari.

QUI ITALIA

La lunga lista di advisor del fondo newyorkese parla anche un po’ italiano. C’è Diego Piacentini, l’ex Commissario alla Trasformazione digitale con Matteo Renzi con una lunga carriera manageriale in America fra Apple e Amazon. Oggi consiglia Kkr su Tecnologia, media e telecomunicazioni (Tmt). Con lui Gianemilio Osculati, presidente di Valore Spa, un cv di peso con trascorsi al Boston Consulting Group e Ibm, poi da top manager di McKinsey.

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