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A little party never killed nobody. Mentre l’America resta col fiato sospeso per capire chi la spunterà alla Casa Bianca fra Joe Biden e Donald Trump, a Mosca e Pechino si festeggia per il primo, vero vincitore della corsa presidenziale: l’incertezza.

In Russia il 4 novembre è il giorno dell’Unità nazionale. Una ricorrenza particolarmente cara all’immaginario popolare, che ogni anno celebra la natura multietnica del popolo russo. Una narrazione che si scontra con quella di un’America divisa in due, con i rispettivi candidati alla presidenza che proclamano vittoria azitempo, e uno dei due che agita lo spettro di una frode elettorale. “Auguriamo ai nostri amici americani un po’ della stessa unità nazionale che stiamo celebrando oggi in Russia”, ha scherzato un presentatore della tv di Stato Russia-24 questa mattina.

È un film già visto quattro anni fa sui principali canali pubblici russi, allora intenti a tessere le lodi di Trump, il candidato approdato nello Studio Ovale con la solenne promessa di migliorare le relazioni con il Cremlino. Si ripete quest’anno, ma ad attirare le attenzioni dei principali media russi e di alcuni dei leader di maggioranza e opposizione non è l’uno o l’altro candidato.

Martedì, mentre gli americani si mettevano in fila ai seggi, il popolare tabloid filo-governativo Komsomolskaya Pravda titolava: “Una guerra civile in America è probabile dopo il 3 novembre?”. “Le persone sono stanche dell’anarchia nel Paese. L’America sta sperimentando lo steso disagio, gli stessi pogrom, scontri e violenze che abbiamo vissuto in Russia 400 anni fa”, ha chiosato questo mercoledì Vladimir Zhirinovsky, leader del nazionalista Partito liberal-democratico di Russia.

Se l’oppositore reduce da un avvelenamento al novichok Alexei Navalny plaude con un tweet alla democrazia americana, after all, dal Cremlino tutto tace, come da protocollo diplomatico. Sul giornale filogovernativo Russia Today appare un op-ed intitolato così: “L’America ha quasi schivato un proiettile…poi Biden e Trump hanno aperto la bocca. Ora esploderà l’inferno”.

Stesso copione per la Cina, dove il ministero degli Esteri preferisce trincerarsi dietro a un no-comment, ma i giornali del Partito comunista cinese hanno già iniziato a dire la loro. Fa da capofila il Global Times, foglio anglofono con un piglio fortemente provocatorio.

Ecco allora spuntare un editoriale, “Le profonde divisioni negli Stati Uniti contraddicono i valori democratici”, che spiega come le stesse elezioni abbiano già irrimediabilmente danneggiato “la reputazione internazionale degli Stati Uniti”. “Gli Usa sono in uno stato di degradazione” twitta il direttore responsabile Hu Xijin. E su Weibo, popolare piattaforma social, fioccano commenti contro Trump, ripresi da Reuters. “Che vinca o perda, la sua missione finale era distruggere l’immagine della democrazia americana”.

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