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Secondo fonti del Asharq al Awsat, una delegazione americana mista – funzionari del dipartimento di Stato e militari di AfriCom – incontrerà Khalifa Haftar per convincere il signore della guerra dell’Est libico a ritirarsi da Sirte. La città costiera sul golfo omonimo è un punto di snodo dell’attuale fase: se infatti si cerca un cessate il fuoco duraturo da cui far partire la stabilizzazione, attorno a Sirte c’è tensione militare. Le forze del governo onusiano Gna, aiutate dalla Turchia, vorrebbero riconquistarla sull’onda dei successi che hanno spazzato via Haftar dalla Tripolitania e hanno obliterato le ambizioni tripoline del capo miliziano. Haftar è intenzionato a difenderla, e altrettanto i suoi grandi sponsor, Egitto ed Emirati Arabi – addirittura, il parlamento HoR, che ha una linea pro-Haftar, ha già approvato un eventuale ingresso in campo egiziano se l’attacco a Sirte dovesse partire (l’azione era considerata una red line dal Cairo).

IL CONTESTO

Serve a questo punto una contestualizzazione della notizia sugli americani e Haftar. Gli Usa per la Libia vogliono stabilizzazione e non gradiscono affatto che la Russia sia presente sul terreno (sia fisco che politico) perché la percepiscono come una presenza velenosa. Per questo non perdono i contatti con Haftar, a cui Mosca fa da sponsor secondario, ma di primario peso diplomatico. Un’altra annotazione va fatta poi su chi ha diffuso le notizie: Al Sharq al Awsat è il prototipo dei media arabi off-shore, è basato a Londra ed è di proprietà di Faisal bin Salman, membro della casa regnante saudita. Il giornale scrive di una proposta americana già nota – descritta la scorsa settimana anche su queste colonne, in quanto gli Usa vogliono che circoli. Si parla di demilitarizzazione della Mezzaluna petrolifera, regione di cui Sirte è la porta: un piano americano da svolgere con la supervisione di forze europee e sotto l’egida delle Nazioni Unite. Fonti vicine a Haftar lo descrivono sul media saudita come “l’ultima possibilità” per raggiungere un accordo di cessate il fuoco”.

IL RUOLO DI RIAD

Riad è un sostenitore di Haftar (o forse meglio dire lo è stato finora?). Ha sposato la richiesta emiratina di concedere fondi per l’offensiva lanciata il 4 aprile 2019 su Tripoli, e gioca in Libia le carte dello scontro intra-sunnismo con la Turchia e il Qatar. Ma a differenza di Abu Dhabi è meno coinvolto e ha sempre avuto una posizione più da remoto. Non solo, è piuttosto noto che l’intelligence saudita abbia ottimi rapporti con Agila Saleh, il presidente del parlamento HoR. Saleh, con ottime entrature anche in Egitto, in questo momento sta sfruttando una cooperazione politica con Mosca per lanciare un suo piano negoziale – di recente è stato a presentarlo anche in Italia. Nell’attuale fase viene considerato il dopo-Haftar, perché più potabile (la differenza sta soprattutto in un fatto: finora Saleh non ha usato le armi direttamente, mentre Haftar ha fatto una strage di civile senza ottenere successo). Saleh ha rapporti con gli Emirati, ma su quel lato del Golfo non è così tanto amato. E qui sta il punto.

RIAD E ABU DHABI

È possibile che Riad si stia sganciando da Abu Dhabi in una sorta di ripetizione (con verso opposto) di quanto successo in Yemen? Gli emiratini sono molto più coinvolti in Libia, hanno messo assetti militari e hanno scommesso molto su Haftar – non sulla Cirenaica, come termine geopolitico. E dunque potrebbero avere minore interesse a cedere. Ricapitolando, dunque: mentre è in corso una riassetto della situazione, Asharq al Awsat, giornale saudita che scrive sempre in forma compiacente agli interessi del regno, spiega che attorno a Haftar c’è molta pressione affinché molli. Le fonti dei giornalisti sauditi dicono che gli americani lo hanno minacciato, vogliono che lasci Sirte per spostarsi più a sud, e che i russi facciano altrettanto (che i sauditi stiano mediando?). I turchi, secondo quelle fonti, avrebbero già condotto missioni di preparazione per un bombardamento ad al Rajma, la base che fa quartier generale al signore della guerra. Si sa inoltre che gli americani stanno facendo pressioni sugli emiratini per far ripartire il petrolio libico.

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