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In Kirghizistan la situazione diventa ancora più complessa, con la faida politica interna che si complica creando un articolato grattacapo per Mosca – potenza che include Bishkek nella sua sfera di influenza e che sta cercando di controllare il caos creatosi nel paese dell’Asia centrale perché ne teme il riflesso regionale (sommato alla crisi azero-armena e a quella bielorussa).

L’imprenditore Tikek Toktogaziev, uno dei protagonisti di questi giorni, è stato portato in ospedale privo di sensi dopo che è stato coinvolto in scontri tra i sostenitori dell’ex presidente Almazbek Atambayev – che oggi a sua volta è sfuggito a un attentato mentre era in macchina, crivellata di proiettili – e quelli di Sadyr Japarov, che una parte dell’opposizione sta promuovendo come premier ad interim. Toktogaziev è un’altra opposizione, voluto anch’egli come premier dalla componente più giovane.

“Ho firmato oggi un decreto nel quale si proclama lo stato d’emergenza a Bishkek. In considerazione degli eventi in corso, invitiamo urgentemente il governo a riportare la situazione sotto controllo e a ripristinare la pace nel Paese”, ha scritto in una nota diffusa dal suo ufficio stampa il presidente Sooronbay Jeenbekov, che è attualmente in carica ma è scomparso (voci dicono sia in Russia, ma Mosca smentisce). Lo stato di emergenza parte dalle 20 di stasera e durerà fino al 21 ottobre: l’esercito è chiamato al controllo della sicurezza.

Jeenbekov rivendica il suo ruolo, ma Atambayev e le opposizioni lo considerano esautorato dal potere e il governo a cui fa appello s’è dimesso dopo lo scoppio delle proteste, sotto le accuse di aver protetto brogli elettorali che hanno portato la Commissione elettorale centrale a invalidare il voto parlamentare di domenica scorsa.

Finora i parlamentari uscenti – che esercitano il mandato ormai scaduto – non sono riusciti a raggiungere il quorum necessario né a eleggere un premier ad interim (nonostante inizialmente si fosse fatto il nome di Japarov), né a decidere sulla procedura di messa in stato d’accusa del presidente Jeenbekov. Il capo di Stato ha tuttavia annunciato ufficialmente che sarebbe disposto a dimettersi una volta stabilizzata la situazione – ossia dopo aver ottenuto un salvacondotto. Le opposizioni sono divise, le istituzioni distrutte, il parlamento (teoricamente sostituito dalle elezioni del 4 ottobre, poi invalidate) non riesce a riunirsi per prendere una qualsiasi decisione perché diviso in fazioni – e dovesse decidere qualsiasi cosa, il rischio di un liberi tutti è evidente.

Non bastasse, a Osh, la seconda città del Kirghizistan, ci sono state manifestazioni a sostegno del presidente Jeenbekov. Per il momento si tratta di situazioni pacifiche, ma lo spettro è quanto accaduto dieci anni fa, quando nella città al confine uzbeko c’erano state violenze etniche. Una preoccupazione ulteriore che pesa sul caos generale. Tutto guardata con massima attenzione dal Cremlino. Per anni il Kirghizistan, seppure non nuovo a simili sconvolgimenti politici, è stato considerato un esempio democratico nella regione. Nel paese, nell’ultimo decennio, un sistema di governo misto presidenziale-parlamentare ha brillato tra i presidenzialismi totalitari delle altre repubbliche ex-sovietiche.

(Foto: Kremlin.ru)

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