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Il Federalismo (in Italia, ma non solo) accende le passioni. E spesso se ne parla con piglio da “tifoseria”, una delle quali è la narrazione delle “formiche” che abitano il Settentrione, contrapposte alle “cicale” che vivono nel Meridione. Ultimamente sono sorte delle nuove tifoserie per effetto del Coronavirus. Si hanno quelli che vogliono centralizzare come in passato, e quelli che vogliono delegare in misura maggiore. Il libro “L’Italia delle autonomie – Alla prova del Covid-19”, a cura di Giorgio Arfaras, con i contributi di Alberto Brambilla, Angelo De Mattia, Claudia Segre, Antonio Felice Uricchio (edito da Guerini e Associati, 18 euro, 168 pagine), prova ad affrontare le questioni appena sollevate con distacco.

L’Italia è un Paese con una notevole quantità di microimprese che, in un periodo di crisi, sono, come ovvio, molto più vulnerabili di quelle medie e grandi. Le microimprese italiane sono poi molto più numerose di quelle presenti nei Paesi con un’economia simile alla nostra. Questa caratteristica si è formata nel corso del tempo, già da ben prima della Seconda guerra, e poi si è mantenuta (questo è l’oggetto del primo saggio). L’Italia mostra delle differenze fra le aree in cui si suddivide maggiori di quelle dei Paesi che hanno una dimensione confrontabile con la nostra. La differenza fra il Meridione e il resto del Paese preesisteva alla nascita dello Stato unitario. Questa caratteristica è mantenuta come a ribadire, proprio come nel caso delle microimprese, il peso del radicamento storico (questo è l’oggetto del secondo, terzo, e quinto saggio). L’Italia, infine, se osservata come velocità del progresso verso la modernità registra molti ritardi, nella parità fra uomo e donna, nella diffusione delle tecnologie più recenti, nel fondare e condurre le imprese in maniera non tradizionale (questo è l’oggetto del quarto saggio).

Ed eccoci finalmente al Coronavirus. Nel linguaggio economico è definito come uno “choc simmetrico”, vale a dire un evento che colpisce tutti senza fare distinzioni. È proprio così, fra Paesi come fra le regioni? Come impatto lo è, ma i Paesi e le regioni sono in partenza in una condizione asimmetrica. Abbiamo dunque un impatto simmetrico in un mondo asimmetrico. Il risultato sono dei percorsi di uscita dalla crisi che non possono essere eguali, ma solo simili. Per esempio, la Germania ha un debito pubblico sul prodotto interno lordo pari alla metà di quello italiano. I margini di manovra fiscale per fare fronte all’impatto negativo del Coronavirus sono quindi molto diversi. La grande diversità nei margini di manovra è ridotta in parte, ma non del tutto, grazie agli interventi in acquisto del debito pubblico dei diversi Paesi, promossi dalla Banca Centrale e con altre importanti iniziative di natura fiscale.

La polemica nel periodo del Coronavirus vede da una parte i difensori del sistema federale, seppur riformato, e dall’altra gli assertori della concentrazione nello Stato centrale delle funzioni dello Stato sociale, fra le quali primeggia la sanità. Dal momento che il Coronavirus è con ogni evidenza un problema sanitario e che la sanità è il maggior campo di intervento delle regioni italiane, la polemica trova un luogo dove concentrarsi. Se il sistema sanitario, che è a gestione regionale, non ha funzionato come avrebbe dovuto, il suo ritorno in capo allo Stato centrale trova una giustificazione. Giustificazione che, però, si basa sull’assunto non dimostrabile che la sanità gestita centralmente avrebbe funzionato bene nella crisi del Coronavirus. Non dimostrabile perché abbiamo da un lato un fatto (come ha funzionato davvero) e dall’altro un’opinione (come avrebbe potuto funzionare).

Se è indimostrabile la miglior conduzione statale nella crisi del Coronavirus, resta però aperto il dibattito sulla “clausola di supremazia” dello Stato sulle regioni che si potrebbe applicare in caso di crisi grave (su questo si vedano il terzo e il quinto saggio). Al di là della vicenda del Coronavirus si hanno dei nodi molto complessi da sciogliere nel campo del regionalismo e più in generale nella struttura amministrativa dell’Italia. Il contributo di alcune regioni alle proprie spese è insufficiente a finanziare le proprie pensioni e il proprio welfare (su questo si veda il secondo saggio). L’idea retrostante le cinque analisi che compongono il lavoro è il rifiuto della secessione. Il lettore troverà così delle idee per riformare il sistema vigente.

L'Italia delle autonomie alla prova del Covid-19. Ecco i nuovi dilemmi del federalismo

Di Marco Stefanelli

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