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L’accordo tra Francia e Germania per il Recovery Fund da 500 miliardi di euro? “Positivo, anche se ovviamente bisognerà vedere come andrà a finire visto che si tratta di una proposta franco-tedesca che dovrà essere approvata dagli altri Paesi dell’Unione”. I 6,3 miliardi di prestiti che Fca ha annunciato di voler attivare per sostenere le attività italiane del gruppo? “Non sono contrario, i commenti di questi  giorni rispondono più che altro, mi pare, a un fatto ideologico”. La scuola che rimane chiusa mentre il resto del Paese ha riaperto? “Non sono un epidemiologo ma mi pare che il tema sia stato trattato con superficialità”. Parola del ministro dell’ex ministro dell’Economia e delle Finanze e professore ordinario di Economia politica all’Università di Roma Tor Vergata Giovanni Tria che ha parlato in un’intervista rilasciata all’Istituto per la Competitività (I-Com) nell’ambito della rubrica dal titolo “A casa con“.

Ad avviso di Tria, il tema non è se l’Europa si stia muovendo per rispondere alla crisi – lo sta facendo, ha sottolineato, “con la Banca centrale europea, con il Mes, a cui si può decidere di ricorrere oppure no, e con il Recovery Fund” – ma la capacità operativa che l’Italia sarà in grado di dimostrare: “Per il nostro Paese la questione fondamentale è un’altra: come ci prepariamo a poter utilizzare questi fondi qualora venissero messi a disposizione? Non si tratta di risorse regalate ma erogate a fronte di progetti specifici. E noi non abbiamo affatto un record positivo quanto all’utilizzo di fondi europei. Il problema che ci dobbiamo porre è se saremo in grado di spendere le eventuali risorse. In tal senso vedo poche parole, poco dibattito e, soprattutto, nessuna azione. Mi preoccupa”. In quest’ottica la principale difficoltà da superare è rappresentata dai troppo ostacoli che in Italia ci impediscono di progettare e poi di effettuare materialmente la spesa pubblica: “Negli ultimi anni  è stata distrutta la capacità di progettazione della nostra pubblica amministrazione. Senza contare i problemi causati dall’attuale codice degli appalti, troppo barocco, che in parte contribuisce a bloccare le procedure e la paura della burocrazia che, per timore di sbagliare, adotta di regola una strategia di tipo difensivo”.

Di fatto comunque, ha evidenziato Tria, in Italia le ragioni della polemica finiscono quasi sempre per prevalere – quando si parla di Europa ma non solo – con la conseguenza di riuscire di rado a ragionare sul merito delle questioni: “Sul caso Fca ho letto commenti che rispondono più che altro, mi pare, a un fatto ideologico. La richiesta viene fatta da Fca Italia che ha sede in Italia e servirebbe a sostenere l’attività italiana della società. È chiaro che il settore automobilistico sia uno dei più colpiti da questa crisi ma anche uno dei più importanti per il Paese”. Ecco perché l’ex ministro ha affermato di non vedere negativamente l’ipotesi del prestito con garanzia da parte dello Stato: “Personalmente, non ho un’opinione contraria a questa possibilità. Molte prese di posizione di questi giorni mi pare rispondano soltanto a visioni etico-morali fondate non so su quali elementi ma sganciate dai fatti”.

Discorso a parte, invece, sulla scuola a proposito di cui, ha osservato l’ex ministro dell’Economia e delle Finanze, la politica è sembrata, in fondo, abbastanza disinteressata. “Non sono in grado di valutare la situazione dal punto di vista epidemiologico ovviamente, ma di sicuro la scuola online non può sostituire quella in presenza: si tratta di insegnare ai bambini e ai giovani a essere adulti, c’è un elemento di apprendimento anche all’agire sociale”, ha commentato Tria. Che poi ha aggiunto: “Credo che il tema sia stato trattato con superficialità. Non so se potessero riaprire immediatamente ma penso che con maggiore attenzione e con le giuste precauzioni si sarebbe potuto fare qualcosa di più”. In questo senso – ha aggiunto – “la scuola non è stata al centro del dibattito politico, è stata chiusa e basta. Troppo facile dire semplicemente di ripartire a settembre”.

Per tutte queste ragioni, ma non solo, per mettere mano ai troppi problemi che l’Italia si porta dietro da anni e provare a ripartire sul serio, nelle scorse settimane Tria ha deciso di aderire al piano “Ricostruire l’Italia” promosso da Stefano Parisi insieme a decine di manager, esperti, professori e giornalisti (qui il nostro approfondimento): “Se cresciamo sempre, ogni anno, almeno un punto in meno della media europea, qualcosa che non va c’’è. Non è un fatto retorico richiamare che l’Italia è stata, e in parte è ancora, un’eccellenza scientifica e tecnologica in molti campi. È il sistema nel suo complesso che non funziona”. Da questo punto di vista, secondo l’economista, bisognerebbe iniziare con il “ricostruire lo Stato”. “Intendo i suoi apparati, i suoi ministeri”, ha spiegato, prima di sottolineare come solo alcuni di questi possano contare al momento su “strutture tecniche capaci”. “Bisogna mettersi in testa” – ha aggiunto – “che i ministri sono i responsabili dell’amministrazione, non soltanto politici che devono cercare di far passare leggi in Parlamento con il loro nome. Devono farle funzionare”.  Un salto di qualità che consentirebbe pure, a suo avviso, di evitare l’inutile moltiplicazione di task force e cabine di regia: “Sono contrario. Non voglio fare polemica con l’attuale governo, è successo anche in quello precedente di cui facevo parte e in quelli ancora prima. È un andazzo che va avanti da molto tempo. Ma è chiaro che tutto ciò che viene concentrato a Palazzo Chigi, in generale, non funziona”.

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