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Continua lo scontro tra gli Stati Uniti e l’Iran attraverso il Venezuela. Il ministero degli Esteri iraniano ha avvertito ieri gli Usa che si riserva il diritto di adottare “misure appropriate e necessarie” di fronte alle minacce di Washington di bloccare l’invio di petrolio in Venezuela.

In una lettera diretta al segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, l’Iran ha denunciato che queste minacce contro le sue navi petrolifere e navi cisterne sono “illegali, pericolose e provocatorie”. Considera gli avvertimenti degli Usa una forma di pirateria e una grande minaccia per la pace e la sicurezza internazionale.

La tensione è aumentata dopo che sono apparse informazioni sulle intenzioni degli Stati Uniti di impedire l’invio di combustibile iraniano in Venezuela. Il capo della diplomazia iraniana, Mohammad Javad Zarif, ha avvisatoil governo di Donald Trump “sulle conseguenze di qualsiasi movimento illegale”. Inoltre, ha convocato l’ambasciatore svizzero a Teheran, Markus Leitner, che rappresenta gli interessi di Washington di fronte al vuoto diplomatico tra Iran e Usa.

Il viceministro iraniano per gli Affari politici, Abbas Araghchi, ha espresso lo scontento ufficiale della Repubblica islamica e ha minacciato con una “risposta immediata e decisa” contro gli Stati Uniti: “L’uso di misure coercitive o un altro tipo di intimidazione da parte degli Usa è una minaccia per il libero flusso dell’energia, una chiara manifestazione di pirateria e una grave violazione del diritto internazionale”.

Cinque navi petrolifere iraniane, che molto probabilmente portano benzina, navigavano domenica verso il Venezuela. Il rifornimento di combustibile fa parte di un accordo tra i due Paesi. Sono stati pubblicati report sulla consegna di nove tonnellate di oro venezuelano al governo di Teheran. Alcuni esperti, invece, sostengono che le navi porterebbero 45,5 milioni di dollari in carburante e prodotti derivati. Secondo Ranjith Raja, analista della firma Refinitiv, che traccia gli invii di petrolio in mare, questo è nuovo per tutto, non è mai stato visto prima.

Tomás Páez, sociologo e professore dell’Università Centrale del Venezuela, nonché coordinatore del progetto globale PYME sulla diaspora venezuelana, ha scritto un editoriale sul quotidiano El Nacional intitolato “Allungare o finire l’agonia dei venezuelani”: “Ho letto con sorpresa e indignazione le dichiarazioni dell’ambasciatore dell’Iran in Venezuela. mi hanno fatto ricordare le disumane parole, con le quali negava l’esistenza dell’olocausto, l’ex presidente Mahmud Ahmadinejad. Il signore ambasciatore ha detto che la cooperazione ha come obiettivo fare funzionare di nuovo le raffinerie (le stesse che i venezuelani gestivano con livelli di eccellenza globale prima)”. Páez ha ricordato che l’ambasciatore pensa che con ‘la cooperazione bilaterale è il nord a conquistare, resistendo al blocco economico dei nostri nemici in comune’. Si riferiva agli Stati Uniti. Ma sarà il suo nemico, non dei venezuelani. Non può parlare in nome dei venezuelani”.

Il Venezuela ha avuto un sistema di raffinerie di alto livello, capace di produrre benzine, diesel e molti altri carburanti per il mercato interno e non solo. Quella capacità dell’industria petrolifera venezuelana era la base della diplomazia del greggio del presidente Hugo Chávez.

In un articolo intitolato “Venezuela, un incendio senza benzina” e pubblicato sul The New York Times, lo scrittore Alberto Barrera Tyszka, spiega come il padre della Rivoluzione Bolivariana “agiva senza controllo, come un bambino ricco in mezzo ad una festa di abbondanza. Usò politicamente la prosperità per asfissiare l’economia e concentrare il suo potere. Non misurò mai le conseguenze perché il mercato del greggio continuava a riempire lo Stato di dollari. Tutto si risolveva con sussidi. Basta ricordare che anni fa, in un occhiolino di sfida nella battaglia contro gli Usa, Hugo Chávez regalava combustibile ad alcune comunità di New York e Boston”.

Ora però è tutto diverso. Il crollo del prezzo del petrolio (e la capacità di produzione del Venezuela) rendono le cose molto più difficili al leader del regime venezuelano, Nicolás Maduro. Tyszka spiega che “mentre l’opposizione cerca di spiegare e slegarsi da un assurdo e deplorevole tentativo di incursione armata nel Paese, Maduro indurisce il controllo sulla popolazione. Gli Stati Uniti stringono il cerchio: indagano imprese internazionali che possano sostenere il chavismo e valutano misure contro l’Iran, per l’invio di benzina in Venezuela. Ognuno sfrutta la pandemia come può e, a volte, sembrerebbe che le vittime non sono parte del conflitto”.

“Quando si vive in stato di disperazione, qualsiasi cosa può accadere – conclude l’articolo del NYT -. Come in tempi di guerra, urge un patto umanitario tra gli attori politici, un accordo per evitare che un Paese senza benzina finisca bruciandosi”.

La guerra del petrolio tra Usa e Iran (e il Venezuela)

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