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La partita per la società della fibra rischia di subire un nuovo scossone dopo la sentenza della Corte di Giustizia europea, che ieri ha nei fatti scongelato la quota di Vivendi (la media comapany francese azionista di Tim al 24%) in Mediaset e pari al 28%. Non solo. La giustizia Ue ha sollecitato l’Italia a riscrivere la legge Gasparri del 2004 che allora provvide al riassetto delle telecomunicazioni in Italia vietando, tra le altre cose, l’incrocio azionario tra media e tlc. Tutto ribaltato. Mediaset potrà (e già ha fatto capire di essere pronta a farlo) essere delle partita per la rete unica, nella quale figurano già Kkr, Fastweb e Tim. E Vivendi, grazie al ripristino dei diritti di voto nel Biscione, potrà ingabbiare ogni operazione straordinaria decisa dall’azionista di maggioranza, aumentando il suo peso decisionale.

Ora, se Mediaset dovesse davvero decidere di entrare nella società della rete, l’attuale governo si ritroverebbe dinnanzi al raddoppio della presenza francese nel progetto per la fibra, con Vivendi al seguito di Tim e Mediaset. La torta si assottiglierebbe per tutti, con evidenti ripercussioni sui progetti del governo. Senza considerare che si tratta di una società che gestirà l’intera infrastruttura nazionale della fibra, con miliardi di dati sensibili in transito. E coi francesi in pompa magna potrebbe essere un problema. O forse no. Formiche.net ne ha parlato con l’economista e storico, Giulio Sapelli.

Sapelli, sembra profilarsi un nuovo scacchiere per la rete unica. Un nuovo socio, Mediaset, con annessa componente francese, Vivendi. Il peso transalpino, insomma, cresce…

Purtroppo non bisogna stupirsi di questo, è la naturale conseguenza di una privatizzazione, quella di Telecom, gestita in modo dissennato. Oggi ci troviamo dinnanzi a una presenza francese forte dentro Tim e in prospettiva potremmo ritrovarci anche Mediaset, sempre con i francesi al seguito. Ma credo che ormai sia troppo tardi per fermare il meccanismo, i buoi sono fuggiti dalla stalla.

Sulla costituenda rete passeranno miliardi di dati sensibili. Tanta presenza straniera di mezzo, per quanto non ostile, non è un rischio?

Io ho sempre sostenuto che la rete avrebbe dovuto avere una proprietà pubblica italiana. Perché una società indebitata quale l’ex Telecom, come avrebbe potuto effettuare investimenti per l’innovazione? E poi, faccio notare un’altra cosa. Oggi i cicli di ammodernamento e innovazione della rete durano 3-4 anni e visto che la rete Tim è obsoleta, può una sola società privata per giunta, ammodernarla? Nella situazione attuale, una società così indebitata non ha i denari per tale innovazione.

Rimane il tema della sicurezza nazionale, dei dati di milioni di cittadini…

I francesi saranno sempre meglio dei cinesi. La Cina no che nella rete unica non ci deve entrare. Diciamolo chiaramente, il danno è ormai fatto, i francesi con o senza Mediaset sono dentro, colpa anche dell’incompetenza della classe dirigente che non capisce un accidente di telecomunicazioni. Questa è storia. Però, adesso, si può gestire tutto in modo diplomatico, con un’accortezza. Dialogare con gli americani e cercare la loro sponda, quasi a concertare eventuali scelte industriali con loro. E poi guardi, la cosa importante è che funzioni la legge sulla sicurezza nazionale e la vigilanza, in modo da proteggere i nostri dati sensibili. Onestamente se i nostri dati vanno in mano ai francesi, poco male, rispetto alla Cina. Il disastro è compiuto, d’altronde.

Ma non c’è proprio modo di neutralizzare la presenza di Vivendi?

No. L’unica cosa da fare è garantire un criterio competitivo per l’accesso alla rete esistente e soprattutto uno sforzo unificato per ammodernare l’esistente rete di Tim. Ma la stessa Tim deve altresì rassegnarsi: la rete non se la può tenere tutta per se perché l’Europa non lo permetterà mai. Dobbiamo essere consapevoli che se togliamo la rete a Tim, allora Tim è finita, purtroppo è così.

Sapelli, rimaniamo sempre nel capo della politica industriale. In queste settimane stiamo assistendo a un grande attivismo di Cassa Depositi e Prestiti, su input del governo. Lei che idea si è fatto?

Il ministro dell’Economia, da storico quale è, ricorderà certamente che l’Iri è stata un’esperienza originale e che non può tornare. Perché si è formato con altri dirigenti, che oggi non esistono. La Cdp, che è e rimane una geniale invenzione di Tremonti (Giulio, ex ministro delle Finanze nel governo Berlusconi I e dell’Economia nei governi Berlusconi II, III e IV, ndr) fa un ottimo lavoro, ma mi pare si stia allargando un po’ troppo. Non dimentichiamoci che i piedi di Cdp sono sul risparmio postale degli italiani, che non si può mettere a rischio.

Crede che il governo dovrebbe usare con maggior moderazione Cdp?

Sì, trovo più utile creare più enti e con personale competente piuttosto che caricare tutto sulle spalle della Cassa. C’è troppa responsabilità, troppo peso sulle sue spalle, dobbiamo tenerlo bene a mente. La Cdp è una società che funziona benissimo, non carichiamola troppo.

Da qualche parte però lo Stato sembra arretrare. Nel 2021, se non ci saranno ripensamenti, il Tesoro potrebbe uscire da Mps…

La verità? Non mi pare una gran pensata. Non credo che ci siano le condizioni per restituire la banca al mercato, non c’è tutto questo capitale a disposizione per accogliere Mps…

Il Tesoro dovrebbe tenersi Mps, una banca che ha perso 1 miliardo nel primo semestre 2010, sul groppone?

C’è una terza soluzione, che passa per un cambio di statuto. E cioè tornare ad essere una banca locale, di territorio, governata da comunità locali. Una cooperativa insomma. L’unica speranza per Mps è ritrovare se stessa.

Ultima domanda. Recovery Fund, ormai ci siamo. Possibilità che l’Italia sprechi questa grande occasione?

Le possibilità ci sono. D’altronde i precedenti non sono dalla nostra, l’Italia ha ancora fermi 78 miliardi di fondi Ue non spesi. Speriamo bene, non credo si possa dire molto altro.

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