Skip to main content

Se qualcuno avesse avuto ancora dei dubbi, l’ultima mossa di Donald Trump dovrebbe averli definitivamente dissipati: dopo una serie cadenzata di ritiri, gli Stati Uniti escono anche dal trattato Open Skies. Con buona pace per quel mondo multilaterale che l’Occidente si è tanto sforzato di costruire negli ultimi trent’anni, ormai dobbiamo pur farci una ragione se “The Donald” non riesce più a sopportare che il suo Paese rimanga ancora oggi vincolato ad accordi che giudica obsoleti, inutili e, soprattutto, non in linea con il mantra “America first”. Fine del dialogo, allora? Assolutamente no.

Il dialogo continuerà (forse non con tutti), solo che sarà esclusivamente bilaterale. Il principio è che l’America è grande e forte, e quindi, nel dialogo a due non può che prevalere. Perché il Gigante dovrebbe lasciarsi imbrigliare dai lacci, lacciuoli e paletti dei Lillipuziani se questi, affrontati uno alla volta, non possono far altro che sottomettersi?

Il trattato Open Skies (cieli Aperti), cui inizialmente avevano aderito 23 Stati, era stato siglato al termine del vertice di Helsinky del 1992 e, per gli Usa, porta l’autorevole firma del segretario di Stato James Baker. Avendo dovuto attendere a lungo tutte le autorizzazioni nazionali, con la ratifica di Russia e Bielorussia, dieci anni dopo la firma nel 2002 è finalmente diventato operativo. In realtà, i prodromi vengono da molto più lontano, quando, nei momenti di maggior tensione della Guerra fredda (crisi di Cuba, crescita della potenza nucleare sovietica, lancio dello Sputnik, maccartismo diffuso negli Usa, voli degli U-2 sulla Russia), ci fu un tentativo di dialogo Usa-Urss per istituzionalizzare dei voli di sorveglianza del reciproco avanzamento missilistico e nucleare. Progetto di iniziativa statunitense, ma rigettato dopo poche battute dall’Unione Sovietica. Lo Sputnik aveva volato, e i sovietici cercavano di mantenere il vantaggio, ritenendo di poter surclassare gli Usa (allora sotto questo profilo più indietro) con la ricognizione satellitare.

Il trattato non ha avuto vita facile, ed è continuato sulla scia delle traversie che aveva sostenuto all’inizio. Si è preteso che tutto venisse regolamentato, dai tipi di velivoli autorizzati fino ai sensori, dalle rotte da percorrere fino al numero di voli utilizzabili da ciascuno, in regime di reciprocità. Gli Stati che fino a ieri aderivano erano 32, ma chiunque può chiedere di partecipare in qualsiasi momento, essendo la durata del trattato senza limiti temporali. Per mantenere un certo grado di indipendenza era stata costruita un’apposita organizzazione, ben al di fuori di blocchi e alleanze. C’è una commissione mista con sede a Vienna (l’Austria non partecipa ai voli), denominata Open skies consultive commission (Oscc) che è indiscutibile riferimento per programmi, autorizzazioni e controversie.

L’obiettivo statutario rimane la riduzione del rischio della proliferazione di armamenti e la valutazione dell’assembramento, della postura e della qualità delle forze nelle grandi esercitazioni e nei possibili, ricorrenti momenti di crisi. L’Italia partecipa ai voli, ma in modo un po’ sbilanciato: infatti è autorizzata a compiere un massimo di quattro voli, di cui due su Russia e Bielorussia, uno sull’Ungheria e uno sull’Ucraina. Di converso, può “subire” 12 voli all’anno da parte degli altri membri. Gli Stati Uniti fino a ieri potevano essere oggetto di 42 sorvoli, avendo il diritto di farne solamente una decina sul territorio della Federazione russa e Bielorussia.

Il “casus” tra Usa e Russia è preceduto da una serie di schermaglie che durano da un paio d’anni, con periodiche sospensioni delle missioni. Già un anno fa, il presidente Trump (che da bravo magnate non disdegna mai di utilizzare come monito l’arma economico-finanziaria) ha sospeso i fondi a favore delle missioni Open Skies, andando così a rendere inutilizzabile il principio di reciprocità, che colpisce sopratutto la Russia. Misura di pura ritorsione verso un divieto dei russi di sorvolare Kaliningrad e l’Ossezia, con limiti di quota su Mosca. Quando Trump, nei giorni scorsi, ha annunciato il ritiro degli Usa, anche questa controversia, come altre in precedenza, sembrava avviarsi a soluzione.

Poi, improvvisa (ma non per gli esperti), la doccia fredda. Ora che succederà? Nulla di grave, considerato che tutto il sistema Open Skies ormai aveva visto gradualmente ridursi (o aveva già di fatto perduto) il proprio valore operativo di intelligence. Oggi, con le costellazioni fisse, con i satelliti ad orbita bassa e persino con i nanosatelliti “usa e getta” si può fare meglio, di più e con maggiore tempestività. Open Skies, tuttavia, conservava come valore intrinseco una residua, ma diplomaticamente utile, capacità di mettere a sedere attorno a un tavolo persone di Stati diversi e farle comunque colloquiare su temi scottanti.

Questa capacità, che Open Skies detiene in esclusiva, non viene certo meno solo perché gli Stati Uniti si sono ritirati. Nessuno impedisce alla Commissione di continuare a riunirsi e a pianificare. Bisogna solo capire quanti e quali Stati membri dimostreranno ancora interesse.

Cosa (non) cambia con gli Usa fuori da Open Skies. Scrive il generale Arpino

Se qualcuno avesse avuto ancora dei dubbi, l’ultima mossa di Donald Trump dovrebbe averli definitivamente dissipati: dopo una serie cadenzata di ritiri, gli Stati Uniti escono anche dal trattato Open Skies. Con buona pace per quel mondo multilaterale che l’Occidente si è tanto sforzato di costruire negli ultimi trent’anni, ormai dobbiamo pur farci una ragione se “The Donald” non riesce…

Covid-19, perché Conte è stato un gigante mentre in Lombardia... Parla Tabacci

Quando l'Europa si rialzò dalle macerie del secondo conflitto mondiale, racconta a Formiche.net il parlamentare centrista Bruno Tabacci, si ricominciò dalla Ceca, in cui Francia e Germania si dividevano il controllo dei territori che avevano una loro strategicità in materia di carbone e acciaio. Da qui, l'idea che vi possa essere un'Europa senza Francia e Germania è del tutto sballata,…

Reddito di cittadinanza? No, grazie. Investiamo sulla cultura. Parla Aurelio Tommasetti

Di Aurelio Tommasetti

In un Paese come l’Italia, ricco di talento spesso malamente sprecato, diviene cruciale definire un piano per il rilancio della cultura, settore con 1,5 milioni di occupati (1 su 4 peraltro è under 35), che come indotto rappresenta 256 miliardi di euro, quasi il 17 per cento del Pil. In questo senso, bisogna innanzitutto agevolare l’incontro tra giovani diplomati/laureati e…

Erdogan pronto a mettere un’ipoteca sulla Libia (con buona pace di Italia e Russia)

Il 2020 per il presidente Putin continua a confermarsi come un annus horribilis. Dopo il referendum costituzionale per lui chiave, il coronavirus che sta piegando la Russia e facendo calare il suo consenso, al numero uno del Cremlino mancava solo di subire l’aumento di influenza di Ankara in Libia. Davanti alle telecamere, come sempre, si va d’accordo e ieri il…

Usa2020, una donna come Vice Presidente. E Biden lancia le audizioni

New York. È un provino in tutti i sensi la scelta della vice che insieme a Joe Biden cercherà di spodestare Donald Trump dalla Casa Bianca. I colloqui con le possibili candidate per il ticket democratico di Usa 2020 avvengono rigorosamente a porte chiuse a Washington, Wilmington (in Delaware, dove si trova Biden), e nel corso di chiamate protette su…

Ecco perché la Cina inciampa sulla Via della Seta. L'analisi del prof. Pennisi

Un antico proverbio degli indiani del Nord America dice che la velocità non giova a nulla se si corre nella direzione sbagliata. È quello che sta succedendo alla Cina sulla Via della Seta. Ha corso troppo, spesso in direzione sbagliata perché credendo di essere omnisciente, e quasi onnipotente, non ha studiato a fondo i percorsi (ed i loro abitanti). È inciampata:…

Cina, indietro tutta. Xi ammette la crisi. Fallito l’obiettivo di crescita e...

È un fatto storico: per la prima volta la Cina ha deciso di abbandonare il suo obiettivo di crescita del prodotto interno lordo per quest’anno, a causa della grande incertezza provocata dalla pandemia di coronavirus. L’ha annunciato poche ore fa il primo ministro Li Keqiang, aprendo la sessione di lavori del Congresso nazionale del popolo a Pechino. “Non abbiamo posto…

Le riforme di cui ha bisogno l'Italia per contare in Ue. L'analisi di Tivelli

Un vecchio proverbio arabo recita: “Se vuoi essere ben accetto dai tuoi vicini devi prima mettere in ordine la tua casa”. E proprio su alcuni aspetti di “disordine” e devianza della casa Italia si appuntano da tempo, e ritornano anche in questa fase, le critiche di qualche organo di opinione e di qualche governante di qualche paese, specie nordico, o…

Da Biden a Fauci, ecco come si surriscalda il fronte interno di Trump

Bandiere a mezz'asta sugli edifici federali e i monumenti nazionali degli Stati Uniti nei prossimi tre giorni per onorare la memoria delle vittime del coronavirus, che nell’Unione superano le 94 mila. IL RITORNO ALLA “NORMALITÀ” L’annuncio del presidente Donald Trump segue una richiesta dei leader democratici del Congresso, che gli avevano chiesto di farlo quando il numero dei morti raggiungerà…

Giungla d’asfalto, compie 70 anni il prototipo poliziesco di John Huston

La sequenza iniziale di alcune vie di una cittadina deserta, mezzo immersa nella nebbia, post-atomica, nei suoi quartieri periferici, spogli e squallidi, dal bianco/nero asmatico, con una macchina della polizia che si aggira lentamente, come un corvo esitante nel planare, le voices over della radio, “Auto 31.36 … viale Lincoln, ferimento al terzo piano … Furto all’hotel de Paris ……

×

Iscriviti alla newsletter