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La notizia era nell’aria da alcune settimane. L’accordo tra Israele ed Emirati Arabi Uniti benedetto dagli Stati Uniti non ha fatto che accelerare le pratiche. Gerusalemme e Washington stanno per firmare un memorandum d’intesa che impegnerà lo Stato ebraico a non utilizzare tecnologia cinese per le sue reti 5G. Lo ha rivelato il Jerusalem Post e lo ha confermato l’agenzia Reuters sottolineando le preoccupazioni statunitensi verso fornitori come Huawei ritenuti a rischio.

Il pressing di Washington è diventato sempre più forte negli ultimi mesi: basti pensare che Yoaz Hendel, ministro delle Comunicazioni israeliano, è stato il primo esponente del nuovo governo guidato da Benjamin Netanyahu a ricevere la visita dell’ambasciatore statunitense a Gerusalemme David Friedman. Inoltre, vanno evidenziate altre dinamiche che rivelano equilibri da nuova Guerra fredda: l’India, che teme le mire egemoniche cinese e anche per questo si sta riavvicinando agli Stati Uniti, ha ordinato droni e bombe intelligence per 100 milioni di dollari da Israele, che a sua volta teme la cooperazione tra Cina e Iran.

L’INIZIATIVA CLEAN NETWORK

Il Jerusalem Post riportava le dichiarazioni di un funzionario statunitense secondo cui Washington era “ottimista che Israele sceglierà soltanto fornitori affidabile per la sua rete 5G”. L’intesa rientra nell’iniziativa Clean Network lanciata pochi giorni fa dal dipartimento di Stato statunitense (e raccontata anche da Formiche.net) per cercare di eliminare la “minaccia a lungo termine alla privacy dei dati, alla sicurezza e ai diritti umani al mondo libero rappresentata da attori autoritari maligni, come il Partito comunista cinese”. Israele rientra assieme ad Australia, Canada, Giappone, Taiwan e a diversi Paesi europei (ultimi Repubblica ceca, Polonia e Slovenia nel corso del recente tour europeo del capo della diplomazia statunitense Mike Pompeo) tra i partner di Washington nell’iniziativa Clean Network, come spiega il sito del dipartimento di Stato di Washington.

LA REAZIONE CINESE

La firma del memorandum non è piaciuta a Pechino. Venerdì il portavoce del ministro degli Esteri cinese, Zhao Lijian, ha definito gli Stati Uniti uno “Stato hacker” mettendo in dubbio le finalità dell’iniziativa Clean Network e accusando Washington di non rispettare il mercato. L’agenzia di stampa ufficiale Xinhua ha sottolineato le richieste cinesi alla comunità internazionale affinché “rifiuti le interferenze egemoniche statunitensi nella cooperazione 5G degli altri Paesi”. Il Global Times, tabloid di Stato, ha messo in guardia Gerusalemme scrivendo che l’accordo con Washington potrebbe “avere un impatto sulle normali attività economiche, commerciali e di investimento tra Cina e Israele”. Durissima la reazione di Chen Weihua, capo della redazione del China Daily a Bruxelles, che su Twitter ha definito il memorandum una cosa “scandalosa e ingrata”. “Città cinesi come Shanghai hanno dato un rifugio sicuro a circa 30.000 ebrei in fuga dall’Europa nazista durante la Seconda guerra mondiale, ma ora Israele ricambia il favore diventando il barboncino degli Stati Uniti contro la Cina nel 5G”. Un tweet che non è passato affatto inosservato e ha attirato diverse repliche. Tra cui quella di Brendan Carr, membro della Federal Communications Commission di nomina trumpiana.

UN INVITO A ROMA 

Keith Krach, Sottosegretario di Stato per la Crescita economica, l’Energia e l’Ambiente, in un’intervista al quotidiano La Stampa ha spiegato gli obiettivi di Washngton per un sistema 5G “pulito” dall’influenza cinese, il Clean Network appunto. “La questione centrale è la sicurezza nazionale” ha spiegato Krach confermando che la Cina conduce già operazioni di spionaggio in Italia, “lo stesso fa negli Usa”. “La legge adottata dal Parlamento italiano per il perimetro della sicurezza cibernetica ha messo fondamenta solide per garantire la protezione del vostro 5G dai fornitori aggressivi”, ha aggiunto. Tuttavia, ha spiegato che gli Stati Uniti sperano “che ora il governo costruisca su queste fondamenta con le nuove regole”. Bene, quindi, ma non basta, come spiegavamo ieri su Formiche.net. Per questo, spiegava Krach, “vorremmo che vi uniste al Clean Network, perché senza di voi non sarebbe completo”.

iraq, netanyahu, insediamenti

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