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Da essere Movimento di piazza, nato dai “vaffa day”, consacrato come la testa d’ariete per far breccia nella politica a trasformarsi in partito politico a tutti gli effetti, è un attimo. O quasi. Sicuramente il capo politico dei Cinque stelle Vito Crimi ha chiamato a raccolta il popolo di Rousseau per votare su due questioni che sono state le radici su cui è nato il Movimento e che adesso potrebbero ribaltarsi. La deroga al doppio mandato e l’apertura all’alleanza con altri schieramenti politici nelle elezioni amministrative.

Quindi sostanzialmente due punti che rendono il movimento fondato da Beppe Grillo una formazione politica tradizionale in piena regola. Forse però, come sostiene Domenico De Masi, professore emerito di Sociologia del lavoro all’Università La Sapienza, “non è una mossa inaspettata”. Anzi.

De Masi, da profondo conoscitore del Movimento ab origine, confessa: “Mi aspettavo che prima o poi sarebbe successo. Ho seguito assiduamente il percorso di trasformazione a cui i 5 Stelle sono andati incontro in questi due anni e, mi sembra chiaro come la volontà fosse proprio quella di assumere un impianto strutturale ascrivibile a quello di un partito tradizionale”. Addirittura il professore sostiene che “non poteva non arrivare questa decisione. Il Movimento comunque non ha la forza per governare meccanismi consolidati e logiche politiche trasversali e sempre valide. Dunque, è chiaro ed evidente che la forma sarà sempre più simile a quella degli altri schieramenti”.

Così come non si poteva continuare ad applicare in maniera manichea le regola che impediva il doppio mandato. “Probabilmente – dice De Masi – i Cinquestelle si sono accorti, anche grazie alla loro esperienza di governo, che la competenza è un valore aggiunto e, una volta maturata, non si regala facilmente in giro”. L’esempio plastico di questo è il cursus honorum che ha fatto di Maio. “In pochi anni – incalza il professore – Di Maio si è trovato a ricoprire il ruolo di vice presidente della camera, di vice premier, di ministro del Lavoro e di ministro degli Esteri. Lui rappresenta la parte più ‘partitica’ del Movimento”.

La lettura in filigrana delle parole di De Masi è da intendersi come la conferma dell’operazione di “traghettatore” che di Maio ha fatto del Movimento da formazione di piazza a struttura di palazzo. La partita della stabilizzazione dell’alleanza tra Pd e 5 Stelle rimane ancora aperta nonché “l’unica strada percorribile”. “Il mio auspicio è che questa alleanza acceleri – dice ancora il sociologo – anche perché è chiaro ed evidente come non ci siano per entrambi gli schieramenti molte altre strade percorribili. L’idea di Di Maio di fare un partito capace di sbilanciarsi una volta a destra e una a sinistra è tramontata. Chi era di destra all’interno del Movimento 5 stelle ora è confluito nelle file della Lega. L’anima vera del Movimento è a sinistra, nella misura in cui il Pd si può dire di sinistra”.

La trasformazione strutturale da Movimento a partito però, non sarà indolore. “Ritengo che, come peraltro sta già accadendo – analizza De Masi – non sarà un’operazione indolore. Però penso che una percentuale che si avvicini al 2% come defezioni sia tutto sommato fisiologica come defezione”. La sfida al Campidoglio, invece, trova il cattedratico categoricamente contrario. “La candidatura di Virginia Raggi è sbagliata – sentenzia –.  Lo è stata prima e lo è adesso. Raggi si è dimostrata totalmente inadeguata e si presenta come una candidatura divisiva che determinerà lo schierarsi di un candidato forte anche da parte del Partito democratico. Il tutto, a mio giudizio, c’è il rischio che vada a beneficio della destra e in particolare di Fratelli d’Italia”.

M5S diventa grande (a sinistra), ma non ricandidi Raggi. Parla De Masi

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