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La Cina ama l’umanità intera, ma qualcuno più di altri. E a quanto ci viene prospettato, è proprio l’Italia a occupare un posto molto speciale nel cuore del Partito comunista. Ma quanto è davvero così singolare questo rapporto?

Mentre gran parte del mondo occidentale, quel mondo che si riconosce nei valori e i principi dello stato di diritto e della democrazia liberale – per quanto imperfetta e incompiuta -, l’Italia si desta sempre più apertamente nell’orbita della Repubblica Popolare Cinese, la quale per ragioni di correttezza sarebbe meglio chiamare Regno del Partito Comunista. Ma non ne vogliamo fare una questione ideologica, per quanto sia chiaro che per la controparte lo è assolutamente, come vedremo dai semplici fatti che elenchiamo di seguito. 

Sono ormai cinque le potenze mondiali che hanno apertamente annunciato la loro volontà di istituire un’inchiesta indipendente e internazionale sulle cause e la gestione iniziale dell’attuale pandemia globale in Cina, con delle dichiarate perplessità e crescenti dubbi sulle informazioni rilasciate da Pechino. Quattro dei cinque (Stati Uniti, Regno Unito, Australia, Francia e Germania) fanno parte del G7, il club dei Paesi economicamente più avanzati nel mondo di cui fa parte anche l’Italia. Ma qui dubbi non si esprimono. 

Qui non esistono perplessità sulla gestione iniziale della crisi, a partire della accuse di razzismo lanciate da Pechino quando il governo optò per la chiusura dei collegamenti aerei diretti della Cina, nonostante lo stesso Pechino aveva già da tempo chiuso i collegamenti interni dalla provincia del Hubei ma lasciato (stranamente?) aperto i voli internazionali (e a riprova di questa perfida politica giunge ora la notizia che in Australia l’ambasciata cinese ha fatto uso diretto dell’Oms per bloccare provvedimenti simili). 

Qui non ci si oppone ai titoloni del Global Times – la versione inglese dell’organo di stampa del Partito comunista cinese – che puntano il dito verso l’Italia, accusandola di aver riscontrato “una strana casistica di polmoniti già a novembre e dicembre del 2019 con sintomi altamente sospetti del Covid-19”, distorcendo completamente le parole del professor Giuseppe Remuzzi che già lanciava dubbi sulla versione ufficiale cinese della tempistica del virus. Ma mentre ci accostiamo alla Cina nell’attaccare giornali della stampa libera tedesca per i torti subiti, la Farnesina non ha fiatato nessuna parola su queste affermazioni. Lieti di servire da untori, a quanto pare. 

Lieti e grati. Perché se non coviamo dubbi sulle affermazioni di Pechino, è anche e soprattutto perché siamo un destinatario privilegiato della sua magnanimità. L’Italia, come gli piace ribadire, detiene un posto molto speciale nel cuore della Cina. E apprendiamo ancora di più quanto lo siamo davvero grazie a una squisita nota recente del ministro degli Affari esteri cinesi, Wang Yi. 

Ci rivela che l’Italia ha la sorte privilegiata di essere tra il gruppo selezionato di 12 Paesi alle quali il Rcp ha mandato un team di medici per assistere nella lotta contro il Covid-19. Da orgoglioso Paese del G7, membro fondatore dell’Unione europea, membro della Nato, erede dell’Impero romano e culla della civiltà rinascimentale, ora siamo inclusi nell’elenco invidiabile e veramente molto esclusivo di: Iran, Iraq, Serbia, Cambogia, Pakistan, Venezuela, Filippine, Myanmar, Laos, Kazakistan e Russia. 

Come giudicare questo fatto davvero “speciale”? 

Partiamo da un semplice dato statistico, sulla base dell’allegato del World Economic Situation and Prospects 2020 del dipartimento Onu per gli Affari economici e sociali (Desa) che ribadisce la posizione dell’Italia come uno dei sette “major developed countries”. Nessuno degli altri Paesi facente parte dell’elenco citato, a partire della stessa Cina – ancora classificata come “economia in via di sviluppo” – è incluso nella classifica dei paesi con economie sviluppate. Tra le economie in transizione troviamo Kazakistan, Serbia e Russia. Iran, Iraq, Pakistan, Venezuela, Filippine, Cambodia, Laos e Myanmar sono tutti economie in via di sviluppo, con la triste sorte degli ultimi tre di essere persino tra i Paesi meno sviluppati al mondo. 

Vi è poi un altra tendenza che accomuna questi Paesi, come ha notato in parole acute un commentatore su Twitter: “Reads like a who’s who of basket cases and despots”. Abbiamo infatti l’altrettanto inviabile onore di condividere il pasto degli aiuti medici con paesi governati da dittatori come Nicolas Maduro, l’ayatollah Ali Khamenei, Hun Sen, Rodrigo Duterte, e la giunta militare del Myanmar. È che ufficialmente non ci sono casi di Covid-19 in Corea del Nord, sennò ci troveremo di fianco anche Kim Jong-Un insomma. Una ottima compagnia, non c’è che dire. 

Certo, qualche ceppo del virus antidemocratico lo troviamo pure qui: il mancato rispetto verso le minoranze parlamentari e l’irrefrenabile tendenza di perseguitare gli avversari politici attraverso la magistratura, il commissariamento o le leggi di emergenza perpetue, la sospensione dell’accesso alle informazioni, piani governativi secretati sulla pandemia, una vera e propria stampa di regime, e infine, il leggero – ma crescente – sospetto che a qualcuno questo arresto domiciliare di massa non dispiace neanche troppo. Per non parlare poi degli appelli programmatici di un partito di maggioranza per l’abolizione nientedimeno della democrazia rappresentativa. Un attacco alla Costituzione in piena linea con il programma governativo del Rpc per abbattere i pericoli della liberal-democrazia, sotto spinta da una società privata la cui lista clientelare probabilmente ha ormai poco da invidiare ai sistemi oligarchici-corporativi cinesi o russi. 

Non possiamo che concludere che l’inserimento dell’Italia in questo elenco di paesi recipienti privilegiati è in effetti molto singolare. Sia per la collocazione economica, che per quella (geo-)politica. E dovrebbe destare grande preoccupazione, in quanto nel mondo da ricostruire dopo l’emergenza, rischia di non venirci perdonato troppo facilmente dagli alleati ancora legati ai principi dello stato di diritto e i quali rappresentano oltre la metà della ricchezza mondiale. Altro che un vantaggio di trattativa al tavolo di Bruxelles e Washington. 

Il boomerang della special relationship con la Cina. Scrive Laura Harth

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