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Come temevano i pessimisti (o forse i realisti), la pace in Afghanistan è un concetto labile. L’interruzione delle trattative tra i talebani e il governo di Kabul, le continue violenze e la persistenza dei terroristi sul territorio hanno spinto la Nato a fare un appello pubblico come ennesimo tentativo di ottenere un risultato concreto.

L’Alleanza atlantica definisce l’avvio dei negoziati “un’opportunità storica per porre fine al conflitto”, quindi “tutte le parti dovrebbero agire per adempiere subito agli impegni assunti per ridurre la violenza e lavorare per la pace” e tutti i leader politici dovrebbero lavorare per costituire un “governo inclusivo” perché “l’attuale livello di violenza causato dai talebani non è accettabile”. Dunque la Nato chiede loro di “ridurre subito la violenza e creare le condizioni favorevoli all’avvio dei negoziati”. Un punto centrale delle trattative con gli Stati Uniti riguardava l’impegno a combattere al Qaeda e Isis. È certo che non sia ancora così, tanto che la Nato invita “i talebani ad adempiere ai propri impegni per garantire che i terroristi non trovino più rifugio sicuro sul suolo afghano”. L’istituzione di una squadra negoziale inclusiva “per rappresentare la Repubblica islamica dell’Afghanistan” è giudicata positivamente dalla Nato che pertanto chiede “ai talebani di avviare i negoziati con questa squadra senza ulteriori indugi”. Soprattutto, l’Alleanza auspica un accordo duraturo che “ponga fine alla violenza e salvaguardi i diritti umani di tutti gli afghani, compresi donne e bambini”.

L’intervento della Nato arriva un paio di giorni dopo l’appello di Josep Borrell, Alto rappresentante Ue per la politica estera, per un immediato cessate il fuoco in modo da affrontare al meglio l’emergenza coronavirus. Durante l’ultima riunione del consiglio dei ministri degli Esteri europei si è parlato dell’Afghanistan che secondo Borrell è in una “fase di stallo politico e militare” visto che “non ci sono stati progressi anche se ci sono stati segnali positivi” come un primo scambio di prigionieri. Uno dei portavoce dei talebani, Suhail Shaheen, ha respinto l’offerta del cessate il fuoco durante il Ramadan avanzata dal presidente afghano, Ashraf Ghani (in foto), sostenendo che è il governo a ostacolare il processo di pace. Nel frattempo i talebani continuano ad attaccare le forze afghane. L’8 e il 9 aprile il governo afghano ha rilasciato complessivamente 200 prigionieri talebani, scegliendoli in base all’età e allo stato di salute, e promettendo di arrivare presto a 1.500 sul totale di 5mila previsto dagli accordi con gli americani. Il 12 aprile i talebani hanno rilasciato 20 prigionieri a Kandahar sul totale di mille promessi. Piccoli segnali sovrastati dalla guerra che non si è mai interrotta.

I contagiati in Afghanistan avrebbero superato le mille unità e nei giorni scorsi erano attesi 5mila tamponi dall’Organizzazione mondiale della sanità. Il sindaco di Kabul, Daud Soltanzoy, sta preparando strutture per ospitare 21mila pazienti in quarantena in varie parti della capitale, ma la vastità dell’Afghanistan e le condizioni igieniche di molte aree complicano la situazione.

C’è estrema attenzione tra le forze impegnate nella missione Resolute support: a Herat il contingente italiano di circa 800 uomini è oggi della Brigata corazzata Ariete, comandata dal generale Enrico Barduani, e un nucleo di italiani è a Kabul dove il generale Marco Tuzzolino è Deputy Chief of Staff della missione. Nei giorni scorsi, collegandosi con i contingenti in varie parti del mondo, il ministro Lorenzo Guerini aveva confermato la massima attenzione alle misure sanitarie per proteggere i nostri militari.

Stop alle violenze in Afghanistan. L'appello della Nato ai talebani

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